Dopo Mohsen Shekari e Majidreza Rahnavard, i due giovani 23enni, giustiziati rispettivamente l’8 e il 12 dicembre 2022, con l’accusa di “inimicizia contro Dio”, il Governo ha deciso di condannare a morte altri 11 manifestanti. Questo è il numero ufficiale annunciato dalla magistratura iraniana su chi è prossimo all’impiccagione, ma secondo gli attivisti dovrebbero essere una dozzina in più.
Secondo quanto riportato dalle ONG per i diritti umani all’estero dallo scorso 16 settembre (giorno in cui sono scoppiate le proteste in città) sono circa 18 mila gli iraniani arrestati e oltre 448 quelli uccisi nella repressione, compresi una sessantina di minori.
Proteste Iran, non si fermano le esecuzioni
Da ormai quasi tre mesi il Paese non ha pace ma il Governo sembra non voler arretrare nemmeno di un centimetro, continuando così a mostrare il pugno di ferro contro ogni tipo di manifestazione.
Il regime vede minacciata la sua stabilità perché le proteste del popolo iraniano si stanno allargando a macchia d’olio e stanno coinvolgendo tutto il Paese. Riforme strutturali e organiche da un punto di vista economico, politico e sociale. Questo chiede a gran voce il popolo, unito anche dalla protesta in nome di Mahsa Amini iniziata con il coraggio delle donne iraniane e poi divenuta trasversale appoggiata da pensionati, lavoratori e studenti. Un dato scioccante in merito, riguarda a tal proposito l’età media dei manifestanti in piazza. Posto che gli iraniani sono un popolo composto da 86 milioni di cittadini in cui l’età media si aggira intorno ai 27 anni, coloro che scendono in piazza sono ancora più giovani: raggiungono appena la soglia dei 15 anni.
Piccole crepe di un sistema dove è vietato il dissenso
Oppositori e vertici del sistema che hanno provato ad esprimere dissenso verso la Guida Suprema in questi 43 anni di Repubblica islamica sono stati condannati al carcere, all’esilio o agli arresti domiciliari. Lo si è visto anche con i parenti stretti di Ali Khamenei arrestati di recente per aver criticato pubblicamente il capo religioso. Nonostante la paura e il timore di nuove esecuzioni o processi sommari (che avvengono a porte chiuse e senza tutela legale) si comincia però, anche a intravedere qualche crepa nell’establishment sciita da gruppi noti ecclesiastici e da diversi ayatollah.