Rapporto Migrantes: 103 milioni le persone con lo status di “rifugiati”, una cifra record raddoppiata rispetto al 2012.
È quanto emerge dal quadro presentato oggi dall’organismo appartenente alla Cei in merito al diritto d’asilo. Oltre alla fotografia puramente statistica, nel report si critica fortemente l’atteggiamento discriminatorio avuto da alcuni Paesi, Italia compresa.
Rapporto Migrantes 2022, dura critica nei confronti della gestione italiana
Nelle sue conclusioni, il Rapporto Migrantes 2022 rimarca come sia in atto “una costante e crescente precarizzazione del diritto all’accoglienza e con essa dello stesso diritto d’asilo“, catalogando il Mar Mediterraneo come “il mare della morte”: 1.800 la stima delle persone che hanno perso la vita nei primi dieci mesi dell’anno. Colpita nello specifico la tratta “centrale”, che porta al largo delle coste di Malta e dell’Italia (1.295 vittime).
Essendo di derivazione italiana, il report “tira le orecchie” alla gestione migratoria dell’Italia. Nel mirino le frasi ripetute dai governi, l’atteggiamento vittimistico e la totale ignoranza delle cifre reali, soprattutto degli altri Paesi. A dimostrazione della tesi, sono state allegate le cifre dei rifugiati aggiornate a giugno 2022: 300mila in Italia, oltre 600mila in Francia e 2,2 milioni in Germania. Ma anche confrontando i dati in valore percentuale, l’Italia ha un carico inferiore di Grecia e Bulgaria. L’unica concessione fatta al governo riguarda la necessità di un aiuto contro il regime di soccorso attuato dalla guardia costiera Libica.
Inoltre, l’accusa si fa più intensa quando le autrici del report lanciano una provocazione, chiedendosi se “i bambini, le donne e gli uomini siano davvero tutti uguali e si godano degli stessi diritti“, oppure se “per avere accesso a questi diritti si debba essere europei“. Più diplomatico il commento del capo della Cei Zuppi, che invita tutti “a comprendere che dietro questi numeri ci sono persone reali” e che alcuni numeri registrati “devono preoccuparci e scandalizzarci, altrimenti si rischia di farci l’abitudine“.