Pubblicata oggi la terza puntata dei “Twitter files”, l’inchiesta giornalistica condotta dagli statunitensi Matt Taibbi e Bari Weiss che ha già svelato l’esistenza di un team di dipendenti di Twitter il cui scopo era “costruire liste nere, impedire ai tweet sfavorevoli di diventare di tendenza e limitare la visibilità di interi account o addirittura di argomenti di tendenza”, il tutto in segreto, senza informare gli utenti. Nel mirino dell’indagine del New York Times ci sarebbero ora le motivazioni che avrebbero portato alla rimozione dell’ex Presidente Trump dal social.
Il punto sull’inchiesta giornalistica soprannominata “Twitter Files”
L’esistenza di un team coinvolto in operazioni tutt’altro che trasparenti, con una vera e propria blacklist, era già stata resa nota nelle puntate precedenti dell’inchiesta giornalistica statunitense. Tra gli utenti finiti nel mirino del social c’erano, ad esempio, Jay Bhattachary, professore di Stanford che sosteneva che i lockdown messi in atto per contenere la diffusione del Covid-19 potessero danneggiare i bambini, e Dan Bongino, presentatore di un noto talk show e finito nella blacklist delle ricerche perché dichiaratamente di destra; o, ancora, l’attivista conservatore Charlie Kirk e l’account “Libs of Tik Tok”, sospeso sei volte ufficialmente per incitamento all’odio nonostante un documento interno dimostrasse che i gestori della pagina non avevano mai violato il regolamento di Twitter.
Ora nel mirino dei giornalisti è finita la rimozione dell’account dell’ex Presidente degli Stati Uniti Donald Trump dal social. Matt Taibbi ha infatti dichiarato che i documenti in loro possesso dimostrano “l’erosione degli standard all’interno dell’azienda nei mesi precedenti al J6 (il 6 gennaio 2021, il giorno dell’assalto a Capitol Hill, con la conseguente rimozione di Trump l’8 gennaio, ndr), le decisioni di dirigenti di alto livello di violare le proprie politiche e altro ancora, sullo sfondo di un’interazione continua e documentata con le agenzie federali”. In particolare, sembra che a portare all’eliminazione del profilo del politico sia stato quello che alcuni vertici di Twitter hanno definito “contesto complessivo”, ovvero le “narrazioni” di Trump e dei suoi sostenitori “nel corso delle elezioni e negli ultimi quattro anni”.
In una delle chat interne documentate nell’inchiesta, i dirigenti di Twitter si sarebbero anche detti entusiasti dell’intensificazione dei rapporti con le agenzie federali, mentre, ad inizio ottobre 2020, una chat interna avrebbe portato in discussione alcune rimossioni di account di “alto profilo” legati alle elezioni, cioè i VITS, very important tweeters. Un ulteriore scandalo sarebbe invece legato ad Hunter Biden, il figlio dell’attuale Presidente Biden: a quanto pare, a poche settimane dalle elezioni presidenziali americane del 2020, “Twitter svolse un ruolo di primo piano, oscurando lo scoop del New York Post sulle email segrete di Biden junior”, email potenzialmente compromettenti per la campagna elettorale, bloccando anche la trasmissione del link con l’articolo, utilizzando una misura solitamente adottata sono nei casi più estremi, come per i contenuti di pedopornografia.
A questi scopi, sembra che alcuni vertici di Twitter non solo incontrassero settimanalmente l’Fbi, ma anche il Dhs, la direzione nazionale dell’intelligence. E soprattutto sembra che l’Fbi avesse anche indicato tweet da considerare falsi o non attendibili (per esempio quelli riguardanti i dubbi sul conteggio dei voti che portarono poi alla rivolta di Capitol Hill). Si tratta di un’indagine tutt’altro che conclusa, comunque, visto che già per domani si attendono nuove rivelazioni sulla vicenda Trump. Per ora, Elon Musk, che partecipa da vicino alla vicenda, interessato a smascherare le faglie della precedente gestione del social, ha già fatto sapere che “Twitter sta lavorando a un aggiornamento del software che mostrerà il vero stato dell’account, in modo da sapere chiaramente se si è stati bannati, il motivo e le modalità per fare ricorso”.