Lo scandalo europeo si allarga. Nell’ambito della inchiesta per corruzione dai fondi provenienti (presumibilmente) dal Qatar, e che ha visto finire nel mirino delle autorità Pier Antonio Panzeri e Luca Visentini, è stata sentita, e risulta indagata, anche la vicepresidente greca dell’europarlamento Eva Kaili.

Bruxelles, soldi e corruzione al parlamento europeo

Lo riporta il portale di informazione Le Soir, secondo cui la donna è stata interrogata nel pomeriggio. La sua abitazione era stata perquisita nell’ambito dell’inchiesta in cui è coinvolto anche il suo compagno, ex assistente parlamentare dell’ex eurodeputato di S&d, Pier Antonio Panzeri. Il quotidiano belga ribadisce come queste informazioni siano state confermate dalla procura federale. Le soir però tiene anche a sottolineare un’altra cosa: L’unico modo per arrestare un parlamentare protetto dalla sua immunità è coglierlo in flagrante.

Chi è Eva Kaili, la vicepresidente europea fermata dalle autorità

Eva Kaili è nata a Salonicco, il 26 ottobre del 1978. Giornalista, ha lavorato per anni per Mega, un media group greco, conducendo fra le altre cose edizioni dei telegiornali soprattutto nel weekend. Nel 2002 si candida con successo a consigliere municipale nella sua città natale. Cinque anni dopo, nel 2007 viene eletta deputata al Parlamento greco, venendo riconfermata nel 2009. Nel 2014, Eva Kaili viene eletta in Europa, come prima eurodeputata dell’allora Partito Democratico greco. Nelle ultime elezioni, datate 2019, a candidarla è il Movimento socialista panellenico, con cui ottiene 145mila voti, sedendo nuovamente nell’Europarlamento, dove siede in qualità di uno dei 14 vicepresidenti del Parlamento europeo.

Sulla corruzione al parlamento indagini in corso da luglio

Come ha confermato Eric Van Duyse, portavoce della Procura federale

Da diversi mesi gli inquirenti della polizia giudiziaria federale belga sospettano che uno Stato del Golfo stia cercando di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo. In particolare versando ingenti somme di denaro o offrendo ingenti doni a terzi con una posizione politica e/o strategica importante all’interno del Parlamento europeo.

Come riporta anche l’altro quotidiano che ha lanciato la notizia, Knack, “il procuratore federale non vuole dire quale Stato del Golfo sia coinvolto. Ma Knack e Le Soir hanno appreso da diverse fonti ben informate che l’ufficio del pubblico ministero sta prendendo di mira il Qatar, l’organizzatore della Coppa del mondo di calcio. Gli inquirenti stanno indagando se il Qatar abbia cercato di influenzare le posizioni nel Parlamento europeo in un modo che vada oltre il classico lobbismo”.

Panzieri e la Ong contro… la corruzione

Nel mirino degli inquirenti, che indagano sulla possibile corruzione al parlamento europeo (ma non solo) è finita Fight Impunity, la Ong dell’ex eurodeputato S&d Pier Antonio Panzeri, al centro dell’inchiesta belga sulla corruzione legata al Qatar. Una ironia del destino, se si legge quanto campeggia sulla homepage della stessa organizzazione:

Lo scopo di Fight Impunity si basa sulla necessità di promuovere la lotta contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale. Sebbene esistano già una serie di meccanismi a livello internazionale e regionale per vigilare sulla responsabilità degli Stati e degli individui interessati e garantire la responsabilità delle violazioni commesse, è fondamentale rafforzare le azioni e le misure esistenti al fine di aumentarne l’efficacia.

“Al fine di colmare il divario dell’impunità, l’associazione servirebbe allo scopo di affrontare le questioni più delicate nel contesto del diritto internazionale dei diritti umani (ad esempio esecuzioni extragiudiziali e sparizioni forzate) nonché i bisogni dei gruppi più vulnerabili (ad esempio bambini, giovani, donne, minoranze e sfollati interni). Ciò include la definizione di soluzioni per eliminare i possibili ostacoli per le vittime all’accesso alla giustizia e per promuovere i sistemi giudiziari internazionali, compresa la giustizia di transizione dove la responsabilità è maggiormente a rischio”, si legge ancora.