Congedo parentale verso l’estensione ai padri: l’indennità che solitamente viene concessa in misura pari al 30% della retribuzione del genitore lavoratore, la quale è stata innalzata all’80%, era stata concessa esclusivamente alle madri lavoratrici.

“Noi abbiamo aggiunto un mese di congedo facoltativo, non obbligatorio, ma retribuito all’80 per cento e utilizzabile fino al sesto anno di vita del bambino, una specie di piccolo salvadanaio del tempo”, aveva detto la presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni durante la conferenza stampa nella quale esponeva le misure inserite nella Manovra del prossimo anno.

Ma adesso, dopo le richieste da parte dei sindacati, c’è stato un cambiamento da parte del governo Meloni per quanto riguarda la Legge di Bilancio 2023.

In particolare, l’indennità all’80% per un mese, fino al compimento del sesto anno di vita da parte del figlio, sarà riconosciuta anche ai padri, anche se l’Ispettorato del lavoro frena sulla decisione del governo di inserire le astensioni facoltative.

Congedo parentale verso l’estensione ai padri: indennità all’80% facoltativa ed usufruibile entro il sesto anno di vita del figlio

L’art. 66 della bozza della Legge di Bilancio 2023, che riguarda il congedo parentale, prevede che:

“Con riferimento alla madre lavoratrice dipendente e limitatamente ad un periodo o ad un complesso di periodi non superiori ad un mese e compresi entro il sesto anno di vita del bambino – ovvero entro il sesto anno dall’ingresso in famiglia del minore nel caso di adozione o affidamento -, un elevamento della misura dell’indennità per congedo parentale; la relativa aliquota (commisurata sulla retribuzione) viene elevata dal trenta all’ottanta per cento“.

Questa misura, in particolare, non si applica per i casi in cui il periodo di congedo di maternità sia terminato entro il 31 dicembre 2022.

L’art. 34, comma 1, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, e successive modificazioni), riconosce il trattamento economico corrisposto dall’INPS o, per i dipendenti pubblici, dal datore di lavoro, per i seguenti periodi di congedo parentale:

  • per tre mesi per ciascun genitore (tale diritto non è trasferibile all’altro genitore);
  • per un ulteriore periodo di tre mesi, il quale è fruibile in alternativa per i genitori (o anche divisibile);
  • per nove mesi, qualora vi sia un solo genitore oppure l’affidamento del minore sia esclusivo di un genitore.

Questo avviene a meno che non si tratti di casi di periodo più ampio, in relazione al reddito individuale o all’ipotesi che il congedo riguardi un minore disabile in situazione di gravità accertata.

L’Ispettorato del lavoro mette al corrente i genitori sulle sanzioni in caso di rifiuto

La volontà del governo Meloni di rendere facoltativo il periodo di congedo parentale, in modo da poterlo sfruttare entro i sei anni di vita del figlio, è stata frenata dall’Ispettorato nazionale del lavoro, il quale con la nota n. 2414 del 2022 ha messo al corrente i genitori di quali sono le sanzioni in caso di rifiuto del periodo di congedo parentale:

Il datore di lavoro è tenuto al riconoscimento del congedo richiesto dal lavoratore – da ciò la sua obbligatorietà – nei modi previsti dal comma 6 dello stesso 27-bis (comunicazione in forma scritta al datore di lavoro dei giorni in cui si intende fruire del congedo, anche attraverso ‘l’utilizzo, ove presente, del sistema informativo aziendale per la richiesta e la gestione delle assenze’, con un anticipo non minore di 5 giorni, ove possibile in relazione all’evento nascita, sulla base della data presunta del parto e fatte salve le condizioni di miglior favore previste dalla contrattazione collettiva).

Non può ritenersi di ostacolo la richiesta datoriale di fruire del congedo in tempi compatibili con il preavviso di cinque giorni stabilito dal legislatore, a meno che un eventuale parto anticipato rispetto alla data presunta non consenta al lavoratore di rispettare il preavviso e ferme restando le condizioni di miglior favore previste dalla contrattazione collettiva”.