Da tanti anni volevo andare in corso Re Umberto a Torino per rendere omaggio a Luigi Meroni, travolto da un’auto e ucciso su quella strada il 15 ottobre del ‘67. A questa autentica leggenda del calcio italiano mi sento affezionato perchè ho scritto sulla sua fine il primo articolo della mia vita, in quinta elementare, nel giornalino di classe voluto da una maestra illuminata, Cosma Serchi.


Su quel luogo c’è un piccolo monumento, un’opera in pietra color granata con un campo di calcio, un pallone e la sua fotografia promossa dalla municipalità nel 2003. I tifosi del Toro e gli appassionati di un calcio antico non hanno dimenticato la Farfalla Granata e sul monumento depongono fiori e appoggiano striscioni pieni di affetto e malinconia.

Luigi Meroni, la leggenda del calcio va onorata

Peccato che, accanto al monumento, a un metro e mezzo di distanza, sia stato collocato un bidone della spazzatura. Non so da quanto tempo c’è ma la sua collocazione è una mancanza di rispetto verso un genio del calcio, morto a 24 anni. Un personaggio stravagante, eccentrico ma un vero fuoriclasse. Edmondo Fabbri, commissario tecnico della nazionale, lo convocò in azzurro nonostante non gli andassero a genio i capelli e il suo modo di interpretare la vita. Per Gianni Brera “era il simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti sornioni”.

Il direttore della Gazzetta dello Sport Candido Cannavò scrisse che “scrostava la muffa dalle abitudini, smascherava le ipocrisie. Un tenero rivoluzionario che dava il meglio di sé nel lavoro e poi rivendicava libertà totale”. Insomma un genio. E a pochi metri dalla leggenda non si può mettere un bidone della spazzatura.

Stefano Bisi