Cos’è la polizia morale, che in queste ore è al centro di dibattito in Iran e nel resto del mondo? Cerchiamo di scoprirlo in queste righe, provando a capire se il regime manterrà effettivamente la parola data di abolire l’odiato corpo. Infatti, molti osservatori hanno espresso dei dubbi, a causa soprattutto delle circostanze dell’annuncio, e delle conseguenze che potrebbero addirittura mettere in pericolo il regime stesso.
Cos’è la polizia morale che tutti odiano
La polizia morale nasce nel 2005, da un provvedimento del consiglio supremo della rivoluzione culturale. Il suo compito è quello di far rispettare le norme sull’abbigliamento e sui costumi della tradizione islamica, che in Iran valgono come legge dello stato (infatti, è una repubblica islamica). Le norme prevedono un certo tipo di vestiario obbligatorio, tra cui il famigerato velo (hijab). Le donne sono costrette ad indossare questo capo che nasconde i capelli e parte delle loro forme. Dimenticarlo a casa, o non metterlo correttamente, può costare caro. La legge prevede il carcere fino a 60 giorni, in condizioni spesso disumane. Prima del 1983 era anche peggio, in quanto la norma prevedeva qualcosa come 74 frustate. Proprio il carcere ha funto da tomba alla 22enne Mahsa Amini, morta dopo essere stata rinchiusa per non aver indossato bene l’hijab. Il suo decesso ha fatto esplodere le piazze, mettendo in difficoltà il regime. Occorre aggiungere che la polizia morale non applica sempre la legge islamica in maniera rigida: ciò dipende dal governo, se è conservatore o liberale. Nel primo caso, si applica la legge alla lettera, nel secondo si concede un minimo di flessibilità. L’annuncio sulla dismissione del corpo ha suscitato grandi entusiasmi, ma in molti hanno dei dubbi.
Cosa non quadra nella narrazione
L’abolizione dell’odiato corpo diventa notizia per bocca di Mohammad Jafar Montazeri, procuratore generale. Si tratta di un personaggio influente ma non appartiene al governo, bensì alla magistratura. Lo stesso Montazeri, nel dare l’annuncio, aveva sottolineato come i magistrati non avevano peso nella decisione, che spettava all’esecutivo. Un esecutivo che è nelle mani di un leader conservatore, Ebrahim Raisi. Quest’ultimo aveva parlato di una costituzione che poteva essere rispettata in maniera flessibile, cosa che aprirebbe ad un ammorbidimento del regime stesso. Per molti, la cosa è sospetta: l’annuncio viene da una persona che non ha autorità in merito, per una decisione che spetta ad un governo che si regge sui voti degli intransigenti. Questo ha fatto pensare che tutta questa storia sia una mossa politica, basata sul lanciare dichiarazioni e aspettare la reazione di una popolazione inferocita. Altra ipotesi è la proverbiale verità che “sta nel mezzo”, ossia una polizia morale che non è ufficialmente abolita ma che non entra in servizio effettivo. Una soluzione che accontenterebbe tutti o quasi. Ma con quali conseguenze?
Un regime indebolito?
Ora che sappiamo che cos’è la polizia morale iraniana, resta il dubbio se sarà abolita oppure no. Sul tema si è espressa Azar Nafisi, avvocatessa e attivista per i diritti umani, la quale ha parlato in un’intervista al Corriere della Sera. La Nafisi sostiene che la situazione non è chiara, citando i motivi di cui abbiamo parlato qui finora. Secondo il suo modesto parere, il regime appare debole. Da un lato, non vuole assumersi la responsabilità di quanto stia accadendo nel paese, ma dall’altro, inasprisce la repressione, quasi a voler cancellare il problema con la forza. Sull’abolizione del velo, l’avvocatessa esprime delle perplessità: essendo stato il governo a fare dell’hajib il perno centrale di ogni questione, vietarlo dall’oggi al domani significa in sostanza rinnegare se stesso, porre fine alla repubblica islamica nel suo insieme. E poi, non è neanche quello che chiede la piazza, così furente con i palazzi di Teheran. La loro richiesta è la fine del regime, perché con esso non vedono alcun futuro. Cambiare per non morire, dice la saggezza popolare. Vedremo se il governo iraniano deciderà di cambiare davvero.