L’ondata di contestazione che da tre mesi sconvolge l’Iran sembra muovere qualcosa d’importante, come ad esempio, l’abolizione della cosiddetta polizia morale. La procura generale diretta da Mohammad Jafar Montazeri ha annunciato che il corpo che si occupava di far rispettare la legge islamica, nel suo aspetto più culturale. Inoltre, i media locali riferiscono che il governo è al lavoro per rivedere le norme sull’abbigliamento tradizionale, cosa che aprirebbe ad un allentamento dell’obbligo del velo. Le proteste sono partite dal caso di Mahsa Amini. La 22enne era stata arrestata il 22 settembre scorso per non aver indossato correttamente il velo, morendo in carcere per le percosse subite.

Contestazione in Iran: come “muore” la polizia morale

La decisione nasce il mercoledì, quando il gruppo di revisione guidato dal procuratore Mohammad Jafar Montazeri s’incontra con la commissione culturale del parlamento di Teheran, per discutere delle questioni specifiche. L’annuncio della decisione è di oggi, ma secondo Montazeri, gli effetti si vedranno tra circa un paio di settimane. Lo stesso procuratore ribadisce che la magistratura non ha niente a che fare con la questione, e che la sua dismissione è una scelta politica. La Gahst-er-Ershad (questo è il suo nome originale) opera da ben 17 anni, ed è diventato negli anni il simbolo del regime degli ayatollah nella sua accezione più rigida e autoritaria. La sua abolizione rappresenta per questo un momento storico, specie se dopo dovesse seguire anche la revisione sul vestiario. L’obbligo del velo risale al 1983, ed è un altro vezzo del regime instaurato dall’ayatollah Khomeini oltre quarant’anni fa. Tale rivoluzione ha portato all’instaurazione della Repubblica Islamica, in cui la legge del Corano è parte integrante dell’ordinamento giuridico del paese.

Un simbolo dell’Iran conservatore

La polizia morale nasce nel 2005 per volontà del regime di Mahmoud Ahmadinejad, leader conservatore. Essa prende ordini dal ministero della cultura, ed è composta principalmente da soldati di leva. Il suo lavoro è di far rispettare la legge islamica, controllando ad esempio se le donne indossano correttamente il famigerato velo (hajib). Chi non lo faceva rischiava le frustate, poi nella riforma del 1993 la sanzione è stata “ammorbidita”, passando dalle frustate al carcere. Ma non è che la situazione sia migliorata di molto. Mahsa Amini è stata vittima di questa repressione, cosa che ha fatto esplodere la rabbia delle piazze. L’obbligo del velo è trattato più o meno rigidamente a seconda della “flessibilità” del regime: con i conservatori al potere si tende ad essere più intransigenti, mentre i moderati concedono (poco) di più.

Le conseguenze politiche

Un evento storico, dunque, ma per il governo del conservatore Raisi la strada potrebbe non essere così semplice. Da un lato, lo stesso Raisi aveva parlato sabato scorso di una “costituzione flessibile“, aprendo quindi a questa rivoluzione culturale. Dall’altro, ha vinto le elezioni grazie al voto dei conservatori più intransigenti, i quali non vedranno di buon occhio queste aperture. Questa fascia, molto potente, della popolazione, ha ancora in mente l’atteggiamento moderato del predecessore di Raisi, Hassan Rouhani, il quale aveva deluso le loro aspettative specie dopo il ritiro degli USA dal famoso accordo sul nucleare, deciso dall’allora presidente Donald Trump. Non è un caso che le parole di Raisi, così come quelle di Montazeri, siano risultate vaghe ai più. Secondo diversi osservatori, la decisione del regime tradisce la sua debolezza, fiaccato da proteste e scontri che durano ormai da tre mesi. Non tutti però credono a questa improvvisa apertura, soprattutto le piazze, che non mancheranno di proseguire le loro proteste.