Economia. Un coro di commenti accompagnano il dato Istat sul crollo del potere d’acquisto delle famiglie. Per i consumatori la situazione è più nera di quanto dicono le cifre e andrà peggiorando. Si accodano i commercianti che vivono sulla pelle il calo dei consumi. Per gli agricoltori, infine, gli italiani sono talmente in bolletta da essere costretti a togliersi il pane dalla bocca.

È un susseguirsi di comunicati che si allineano ai dati Istat per avvallare la tesi che il potere d’acquisto delle famiglie è sempre più “magro” e anzi, per alcuni interlocutori, le cose sono ben più gravi rispetto a quanto rivelano le statistiche ufficiali. E così aggiungono dati e numeri le sigle dei consumatori, quelle dei negozianti e pure gli agricoltori secondo i quali gli italiani stanno stringendo i cordoni pure per mangiare. Vediamo le diverse reazioni. I consumatori. Sono cifre inquietanti quelle elaborate dal Codacons sulla base dei dati Istat. La sigla lancia l’allarme: il potere d’acquisto delle famiglie ha raggiunto il limite storico dall’inizio del lontano 2000: un calo fino a oggi di 40,5 punti percentuali. Un vero e proprio salasso. L’associazione puntualizza che le perdite record “partono dal 2002, con l’arrivo dell’euro e i mancati controlli dei prezzi che, per i 100 beni e i servizi di maggior consumo, hanno avuto incrementi medi del 53,7% dalla fine del 2001 (cioè dal livello che i prezzi avevano finché c’era ancora la Lira)”. Considerando questo drammatico dato di fatto, secondo il Codacons: “È inutile che il Governo discuta di sviluppo se al primo posto dell’agenda non vi è la difesa della capacità di spesa delle famiglie. Il Governo, insomma, deve invertire la rotta, o sbloccando gli adeguamenti di stipendi e pensioni o decidendosi, finalmente, a controllare l’inflazione, cosa possibile con le liberalizzazioni”.

Dal Codacons all’Adoc, altra agguerritissima sigla di tutela dei consumatori. Dove si sostiene che il dato Istat è sottostimato rispetto alla realtà: il potere d’acquisto non è calato solo dello 0,3%, ma del 5%. Perché? “L’inflazione aumenta, le tariffe aumentano, I’Iva aumenta”, tuona il presidente Carlo Pileri. Morale della favola: “Le famiglie si trovano con il portafogli vuoto”. Qualche dato? Ne
bastano un paio per rendersi conto della situazione: il drammatico impennarsi dell’inflazione (“negli ultimi due anni è salita complessivamente del 2,3%”), gli aumenti delle tariffe dei servizi
pubblici locali e delle utenze domestiche che “negli ultimi quattro anni sono aumentate del 6%”. A fronte di tutto questo “i redditi sono calati”. Detto questo: “Ormai non basta neanche tirare la cinghia, la crisi è profonda”. Ma non finisce qui. La sigla mette in conto anche le ultime misure approvate dal Governo che daranno il colpo di grazia agli italiani. Quattro conti? “L’aumento di un punto percentualem dell’Iva comporterà un aggravio di spesa pari a circa 180 euro l’anno, diminuzione che porterà ad una riduzione dell’impatto della spesa privata sull’economia pari a 540 euro l’anno per singola famiglia. A livello nazionale, quindi, il Pil subirà una decurtazione di circa 11 miliardi di euro”. Un male per le famiglie, ma ci rimette pure lo Stato. Perché se gli italiani sono costretti a ridurre gli acquisti al lumicino, per l’Erario ciò “si traduce in una riduzione delle entrate pari a circa 4,5 miliardi di euro”. L’aumento dell’Iva, infatti, secondo le stime dell’Adoc, comporterà un’ulteriore calo dei consumi intorno al 2-3%. Il che significa, quindi, che lo Stato incasserà meno Iva. Tempi durissimi. Anche per Federconsumatori. In una nota ufficiale, l’associazione sottolinea che: “Il crollo del potere di acquisto è purtroppo destinato a peggiorare, a causa della manovra iniqua e sbagliata del governo”. E le ricadute della manovra determineranno “un’ulteriore fortissima contrazione del potere di acquisto delle famiglie dal -4 al -6%, con una caduta di reddito, nel 2014, di circa il 6,3%”.

I negozianti. “Crescita praticamente svanita, chiusure di imprese, perdita di posti di lavoro, non potevano non pesare sul potere d’acquisto delle famiglie”. I negozianti lo vivono sulla propria
pelle: se gli italiani non hanno quattrini  “i riflessi sul commercio e di conseguenza sulla produzione e sui servizi sono inevitabili”. A parlare è Confesercenti che rimarca le preoccupazioni dei consumatori e lancia analogo allarme: “L’incertezza sul futuro fa il resto. La manovra economica peserà ancora di più sulle famiglie e sulle imprese. Si è scelto soprattutto la via dell’aumento delle entrate a partire dall’Iva, invece dei tagli di inutilità e di sprechi nella spesa pubblica. Solo tagliando la spesa potremmo liberare risorse per ridurre il prelievo fiscale su lavoro e imprese e favorire nuovi investimenti ed occupazione”.

Gli agricoltori. La crisi c’è e si sente, al di là di quanto dicono le fredde cifre. “Anche per la tavola le famiglie spendono di meno, modificando abitudini alimentari e cercando il risparmio nei discount”, dicono gli agricoltori riuniti nella Cia (Confederazione italiana agricoltori). “Nei primi sei mesi del 2011, infatti, i consumi alimentari diminuiscono ulteriormente e a farne le spese non sono soltanto i prodotti superflui ma anche quelli di prima necessità: il pane crolla dell’8,5 per cento e il pesce del 4,8 per cento; la domanda di carne rossa scende del 3,2 per cento e quella di frutta del 2,7 per cento. Non si salva neppure la pasta, che subisce una flessione dell’1,6 per cento”. Secca e concisa la conclusione: “Ora l’aumento dell’Iva di un punto percentuale rischia di dare il colpo di grazia ai consumi. I carburanti sono già aumentati e questo incremento inciderà su tutti i beni che vengono trasportati, quindi anche su quelli che mantengono l’Iva al 4 per cento come la maggior parte dei
prodotti alimentari”. Si salvi chi può.

Redazione Le Novae/mf