E’ morto Pelé, una delle più grandi, se non la più grande, leggende del calcio, soprannominato e conosciuto da tutti come O’Rey. Una carriera passata nel suo Santos, senza mai abbandonare la sua terra natia del Brasile, se non per chiudere la sua gloriosa carriera negli Stati Uniti. Diventato grande proprio con la sua nazionale, durante il Mondiale di Svezia 1958, vinti grazie alle sue prestazioni, dove, a soli 17 anni, divenne il giocatore più giovane a segnare un gol nella storia della Coppa del Mondo, nei quarti di finale contro il Galles, e a realizzare una tripletta, nella semifinale contro la Francia. Pochi giorni riuscì nell’impresa di vincere un Mondiale, battendo i padroni di casa della Svezia, realizzando anche una doppietta e chiudendo il suo primo torneo con sei gol.

Ma non solo campo, con la rivalità con Maradona, come quella tra Cristiano Ronaldo e Messi, che divise, e divide tutt’ora, tutti gli appassionati di calcio e non. Nominato in modo unanime da FIFA, CIO e IFFHS, l’Istituto internazionale di storia e statistica del calcio, ‘Calciatore del secolo’. Campione universale, passato dalla povertù dell’infanzia alla leggenda, numero 10 per antonomasia, ha vinto tutto con proprio il Santos, il club di cui costituisce un’icona eterna, e con la maglia del Brasile, unico a potersi fregiare di tre Campionati Mondiali.

Pelé è morto, la carriera del re del calcio

Il più grande rimpianto rimarrò per sempre quello di non averlo mai visto in Europa. Nato il 23 ottobre del 1940 a Três Corações, nello Stato del Minas Gerais, Edson è stato chiamato affettuosamente ‘Dico’ da papà Dondinho, anche lui ex calciatore professionista che giocava come attaccante, ritiratosi per un infortunio al ginocchio, e da mamma Celeste. Nel 1946, insieme alla famiglia, si trasferì a Bauru, città nello Stato di San Paolo, per seguire la carriera del padre. Il club locale, infatti, offriva, oltre ad un contratto per la squadra, un posto in comune a Dondinho, un offerta troppo golosa per essere rifiutata. Arrivati nella nuova città, però, la triste sorpresa, il posto promesso non c’è e la famiglia deve arrangiarsi fin da subito per sopravvivere.

Edson, il vero nome di Pelé, il più grande dei tre figli di Dondinho, è un ragazzo inquieto e molto creativo, ma non ha molta voglia di andare a scuola e la sua grande passione è il calcio. Così inizia fin da giovanissimo a lavorare e giocare al pallone. Guadagna qualche soldo pulendo scarpe per strada, qualche altro come aiutante in una sala da thé, ma non bastano per acquistare un pallone vero, quindi se ne fa uno di stracci e carta di giornali, arrotolati dentro una calza da uomo. Inizia a giocare per strada, come tutti i bambini brasiliani, e organizza una sua squadra, ‘La squadra dei senza scarpe’, autochiamata così perché in campo giocano scalzi. Mamma Celeste avrebbe voluto che suo figlio non fosse diventato un calciatore, come suo padre, ma con il tempo la sua idea cambia, vendendo le grandi qualità del figlio, che quando gioca si crea una folla di spettatori che vogliono vederlo in azione.

A 13 il padre decide di potarlo al Bauru, il club della sua città, dove gli viene addossato un nomignolo che non lo faceva impazzire affatto, ma che è quello con il quale noi tutti lo abbiamo conosciuto.

Quando avevo tre anni mio padre giocava nel Vasco de Sao Lourenço. Mi portava agli allenamenti e io ero affascinato dal nostro portiere, Bilé. A ogni sua parata urlavo: ‘Bravo Bilé! Bravo Bilé!’. Tante volte però storpiavo il nome in ‘Pilé’ o ‘Pelé! Così a un certo punto i ragazzi più grandi iniziarono a chiamarmi Pelé.

Il primo a rendersi conto delle sue grandi potenzialità è Waldemar de Brito, ex stella del Brasile del 1934, formandolo come atleta e com uomo. Nella prima trasferta a San Paolo per giocare contro il Flamengo, si attarda per comprare delle arachidi, trovando lo stadio chiuso dal custode. Dopo un primo momento di panico, viene trovato dalla sua squadra, riuscendo ad entrare e a giocare regolarmente. Il Bauru vince 12-1 e Pelé, ancora uno scricciolo, segna 7 goal. Per il giovane Pelé iniziano a farsi avanti alcuni club. Il primo è il Bangu di Rio de Janeiro, ma mamma Celeste dice no a un trasferimento ad oltre 700 chilometri da casa. Ma c’è anche il grande Santos che gli offre un provino. Waldemar de Brito va a casa del ragazzo per convincere sua madre, che alla fine dice sì. 

L’arrivo al Santos

Il club, ovviamente, decide di non farselo sfuggire, facendo entra nella foresteria bianconera. Con le Giovanili del Peixe inizia a fare faville, ma la prima delusione arriva nell’unger 16, nella finale di campionato. C’è un rigore e a batterlo è ovviamente Pelé, il suo tiro, però, finisce alto sopra la traversa e il Santos perde il campionato. Dico torna in foresteria e fa le valige, la delusione è troppa e l’idea di molare tutto è grande, tanto da voler tornare immediatamente a Bauru. Ma prima di lasciare Vila Belmiro è fermato dal custode, che, in assenza di permesso, gli intima di tornare indietro nella propria camera.

La svolta nella storia di Pelé col Santos arriva quando un’entrata assassina toglie di mezzo Vasconcelos. Subito dopo Pelé viene aggregato alla prima squadra, firmando il suo primo contratto da professionista. Il suo stile di gioco è la ginga, il passo base della capoeira applicato al futbol bailado ma proveniente dal Brasile più povero, praticata dagli schiavi africani in brasile e nata come forma di “protesta” al dominio portoghese.

Il Santos vince il Campionato paulista, ma perde la sfida con il Flamengo per decidere qual è la squadra più forte del Brasile. Il 7 settembre 1956, nell’amichevole contro il Corinthians de Santo André, Lula, il tecnico del Peixe, manda in campo Pelé nel finale al posto di Del Vecchio: il ragazzo di Bauru lo ripaga siglando il goal del definitivo 7-1. Sarà soltanto il primo dei 1280 che, contando anche le amichevoli, segnerà nella sua carriera, come anche riportato nella descrizione del suo profilo Instagram.

All’inizio del 1957, nonostante i suoi soli 16 anni, entra in pianta stabile in prima squadra, vincendo il premio come capocannoniere del campionato nella stagione successiva. Il Ct. del Brasile e si annota il suo nome quando, durante un’amichevole contro i portoghesi Belenenses, Pelè segna una tripletta con un gol più bello dell’altro. Fa il suo esordio in nazionale il 7 luglio dello stesso anno, nell’amichevole persa contro l’Argentina per 2-1, il gol del Brasile, neanche a dirlo, porta la sua firma. Nel match rigiocato tre giorni dopo il Brasile vince 2-0, con un altro gol de ‘O Rey’, facendolo entrare nel pistone dei 40 preconvocati per il Mondiale in Svezia l’anno successivo.

In un amichevole, organizzata per la selezione finale, Dico si fa male, rimanendo infortunato per un entrata killer. Un fallo volontario per estromettere il ragazzino dalla competizione svedese, ma le cure del massaggiatore Mario Americo hanno il loro effetto e Pelé, ancora infortunato, parte con i compagni di Nazionale per l’Europa.

Il Mondiale di Svezia 1958

Il Mondiale del Brasile inizia l’8 giugno. I verdeoro superano 3-0 l’Austria senza problemi con doppietta di Altafini e rete di Nilton Santos al termine di uno straordinario scambio in velocità. Il secondo match è contro l’Inghilterra, ma ne esce il primo 0-0 dei Mondiali. Sarà dunque decisiva, per il passaggio del turno, la terza partita con l’Unione Sovietica. Ed è qui che Feola rompe gli indugi, cambia la squadra e inserisce in campo assieme Garrincha e Pelé, al posto di Altafini, con Vavà centravanti. L’idea porta i suoi frutti e il Brasile passa ai quarti contro il Galles. I dragoni britannici non impressionano il Brasile, che avanza in semifinale dove la Francia viene battuta per 5-2 con una tripletta del “ragazzino”.

Per la finalissima la tensione sale alle stelle. La Svezia padrona di casa in finale è un osso duro: segna subito Liedholm, ma Garrincha entra in partita e per gli scandinavi sono dolori. Il giocoliere del Botafogo fa doppietta, seguito da Pelé. Il primo goal, che parte con un controllo di petto magistrale, e si conclude con un tiro angolato e preciso, è un capolavoro, mentre nel finale la rete del 5-2 finale è uno stacco di testa spettacolare in controtempo che non dà scampo al portiere.

L’ascesa del Santos

Il Santos, dopo il titolo vinto nel 1958, nel 1959 comincia a girare il Mondo. I brasiliani giocano prima contro l’Inter a Milano, sconfitta per 3-2 con i 2 goal segnati da Pelé, e successivamente sono battuti dal Real Madrid. Il riscatto avviene con il Barcellona, prima della rivincita a Valencia con i nerazzurri: 7-1 il risultato finale per il ‘Peixe’ con poker di O’rei. Moratti resta estasiato dal giocatore, riuscendo a trovare un accordo per portarlo a vestire la maglia nerazzurra, ma sul più bello il Santos nega il trasferimento.

Pelé resta in patria e con i bianconeri vince  ben 10 Tornei statali di San Paolo, 6 campionati brasiliani e 5 Coppe del Brasile. Nel 1961 il Santos fa una nuova tournée europea e Pelé gioca anche a Torino contro la Juventus di Omar Sivori. Questa volta è Umberto Agnelli a provare a strapparlo al suo club, offrendo ben un milione di dollari, ma il Santos resta fermo sulle sue posizioni.

Nel 1962 Pelé è naturalmente convocato dal nuovo Ct. Aymoré Moreira per i Mondiali in Cile e dopo il primo match contro il Messico, dove va a segno, nel match contro la Cecoslovacchia, calciando da fuori area, colpisce il palo e si procura uno strappo all’adduttore. Il suo Mondiale, quindi, finisce immediatamente.

I successi internazionali

Nel corso degli anni Sessanta, con il fuoriclasse Pelé, per il Santos arrivano anche i grandi trionfi internazionali. Pochi mesi dopo i Mondiali in Cile Pelé si rifà trascinando il suo club alla vittoria della prima Libertadores. Contro gli uruguayani del Peñarol Pelé fa doppietta nel 3-0 finale e gli consegna il palcoscenico Mondiale.

L’Intercontinentale oppone infatti i brasiliani al forte Benfica di Eusebio. Al Maracaña l’andata finisce 3-2 per il Peixe, ma il ritorno al Da Luz si annuncia molto difficile. I giornali già annunciano il successo dei lusitani e del loro fuoriclasse Eusebio. Non hanno fatto i conti con Pelé, che in quella partita è letteralmente scatenato: tripletta e assist, e finisce 5-2 per gli ospiti. Il Santos è campione del Mondo per club. Il numero 10 è incoronato come ‘O Rei’, ‘Il Re’ del calcio.

L’anno seguente il Santos torna in finale di Libertadores e sfida stavolta gli argentini del Boca Juniors. Dopo il 3-2 dell’andata, lla Bombonera il clima è infuocato e i tifosi lo insultano anche per il colore della sua pelle, chiamandolo ‘scimmietta’. I tifosi argentini, però, non hanno fatto bene i conti e al ritorno lo stesso Pelé, che fa trionfare il Santos 2-1, laureandosi campione di Sudamerica.

L’Intercontinentale stavolta vede il Peixe opposto al Milan, e l’andata si gioca in Italia, a San Siro. Altafini e Amarildo aprono le danze, ma Pelé risponde allo scadere della prima frazione saltando in azione personale Trapattoni e Cesare Maldini e battendo Ghezzi con un tocco morbido: 2-1. Bruno Mora e ancora Amarildo, nel secondo tempo, portano il punteggio sul 4-1, e sembra praticamente fatta per i rossoneri.

Ma nel finale ancora Pelé riapre i giochi in vista del ritorno in Sudamerica: è steso in area e trasforma con freddezza dal dischetto, fissando il risultato dell’andata sul 4-2 per i rossoneri. Nella gara di ritorno al Maracaña il Milan deve fare i conti con 180 mila tifosi scatenati che tengono per il Santos. 

Pelé però non c’è, perché infortunato, e Altafini porta in vantaggio la squadra italiana e Mora raddoppia. Se non che Amarildo, che al ritorno in patria prima della partita si era autoproclamato ‘Nuovo re’ del Brasile, viene falciato letteralmente da Almir, il sostituto del campione, che lo prende in pieno sul malleolo. Nella ripresa, su un campo molto pesante per la pioggia, l’arbitro Brozzi, che il Milan è convinto sia stato comprato dai brasiliani, permette ai padroni di casa un calcio molto pesante. I falli si susseguono e ne fanno le spese il portiere Ghezzi e Gianni Rivera, che saltano entrambi la partita di spareggio 3 giorni dopo.

Il Milan chiede alla FIFA che l’arbitro venga sostituito, quest’ultima dice no e il Santos si impone 1-0 su rigore, fischiato per fallo di Trapattoni, con Cesare Maldini che protesta e viene espulso. Il Peixe è di nuovo campione del Mondo per club. Pelé ha solo 23 anni e ha già vinto 2 Mondiali, 2 Intercontinentali, 2 Libertadores e tutti i titoli paulisti cui abbia partecipato con il suo club.

Il Mondiale di Inghilterra 1966

Inghilterra 1966 deve essere la conferma per Pelé, ma le cose per il Brasile non sono così positive come si pensa. Garrincha non è più quello del 1958 e del 1962 ed è reduce da un incidente stradale. Il sorteggio, inoltre, non aiuta, con il Portogallo di Eusebio, l’Ungheria di Florian Albert e la Bulgaria di Georgi Asparuhov. Contro Pelé giocano dunque 2 Palloni d’Oro e un grande talento.

La prima partita si gioca a Liverpool e i verdeoro passano 2-0 contro la Bulgaria grazie ai goal di Pelé e Garrincha, ma non è tutto oro quello che luccica. Il bulgaro Zekov gli procura un infortunio al ginocchio che lo fa uscire dal campo zoppicante e lo costringe a saltare l’Ungheria, con il Brasile che viene sconfitto per 3-1. Il passaggio del turno si gioca con il Portogallo, dove, per forza di cose, Pelé non può mancare. I difensori lusitani, inoltre, non ci vanno piano e dopo 15′ deve fare lo zoppo a sinistra, con Eusebio trascina i suoi al successo. 3-1 e Brasile eliminato.

Nel dopo partita ‘O Rey’, amareggiato per l’eliminazione, dichiarerà il suo ritiro dalla nazionale. Le cose, però, a livello economico, non vanno bene e la banca lo chiama perchè sul suo conto non ci sono più soldi, a causa di un cattivo investimento. Pelé è costretto a tornare a giocare col Brasile, chiedendo alla Federazione di negoziare un contratto con lui e di chiudere un occhio sulla sua situazione fiscale.

Il governo dà l’ok ma a condizione che Pelé giochi i Mondiali di Messico 1970. E l’accordo è chiuso in questi termini. In Nazionale si laurea capocannoniere della Copa America e sempre nel 1969, segna il famoso millesimo goal. Lo realizza su rigore contro il Vasco da Gama al Maracaña, anche se i ricalcoli diranno che probabilmente aveva già superato quota mille.

Nonostante una iniziale esclusione dalla rosa, la Federazione opta per un cambio di ct, chiamando il suo ex compagno di squadra a Svezia 1958, Mario Zagallo. La scelta sarà perfetta, perché imposta la squadra con 4 numeri 10 in campo contemporaneamente. Oltre a Pelé, Rivelino, Tostão e Gerson, con una qualità decisamente invidiabile da chiunque.

Con la Cecoslovacchia, all’esordio, il Brasile va sotto 1-0. Ma pian piano Pelé e Rivelino segnano la riscossa. Quest’ultimo segna su punizione il pareggio e ‘O Rei’ con un tiro da oltre metà campo sfiora il goal del secolo. Nella ripresa si inserisce in area su cross di Gerson, la controlla a modo suo e segna il 2-0. Finisce 4-1.Con l’Inghilterra campione del Mondo, su colpo di testa di Pelé Gordon Banks, il portiere inglese, compie quella che sarà definita la parata del secolo. Il Brasile vince ancora con Pelé che serve l’assist decisivo a Jairzinho. Con la Romania, poi, ‘O Rei’ si prende la scena con una doppietta nel 3-2 finale.

I quarti di finale sono il derby sudamericano con il Perù di Cubillas. La Seleçao vince ancora per 4-2 e si va in semifinale contro l’Uruguay, nella rivincita del Maracañazo del 1950. Si gioca ancora a Guadalajara, dove il Brasile aveva giocato tutte le partite. La Celeste va in vantaggio e il primo tempo i fenomeni verdeoro soffrono, pareggiando però al 44′ con Clodoaldo. Nella ripresa l’incantesimo si spezza dopo la visita negli spogliatoi di Zizinho e Ademir, presenti al Maracaña nella disfatta del 1950. Jairzinho e Rivelino decidono il match, che termina 3-1.

Fra il Brasile e la terza Copa Rimet c’è solo l’Italia di Valcareggi, che ha superato 4-3 la Germania Ovest in un’epica semifinale all’Azteca. La finale si gioca il 21 giugno 1970 e Pelé sale in cattedra: con un terzo tempo da giocatore di basket supera di testa Burgnich e segna l’1-0 su cross di Rivelino. Boninsegna pareggia, ma nel secondo tempo gli Azzurri crollano fisicamente e i verdeoro dilagano: Gerson, Jairzinho e Carlos Alberto stendono l’Italia. Pelé è per la terza volta campione del Mondo, come il Brasile ed è portato in trionfo. Ancora oggi è l’unico ad esserci riuscito. I Mondiali messicani lo consacrano come eroe eterno.

L’approdo ai Cosmos

Nel 1971, a Rio de Janeiro, lascia la Nazionale dopo l’amichevole con la Jugoslavia. Davanti a 200 mila tifosi piange mentre fa un giro di campo tenendo la maglia in mano. Chiude con 77 goal in 92 presenze, che lo rendono ancora oggi il miglior marcatore di sempre della Seleçao. Nel 1974 si consuma l’addio più doloroso, quello al Santos dopo 19 stagioni che hanno portato 10 titoli paulisti, 5 Taça Brasil consecutive dal 1961 al 1965, record del calcio brasiliano, 3 Tornei Rio-San Paolo, una Taça de Prata, 2 Coppe Libertadores, 2 Coppe Intercontinentali e una Supercoppa dei Campioni Intercontinentali. L’ultimo match è contro il Ponte Preta, giocato con le maglie a bande verticali del suo debutto.  Al 40′ del primo tempo si inginocchia davanti alla palla e allarga le braccia. Poi si alza e se ne va. 

Dopo un anno di stop, nel 1975 approda ai New York Cosmos, firmando con la Warner, proprietaria del club, un accordo da ‘recording artist’, musicista, e uno da ‘performing artist’, percependo  4 milioni e mezzo di dollari a stagione per tre anni da calciatore e altri tre da testimonial della NASL e del calcio nordamericano. 

Il ritiro

Il 1977, dopo 37 goal in 64 partite, è anche l’anno dell’ultima partita di ‘O Rei’. Al Giants Stadium di New York, davanti a 80 mila spettatori, il 1° ottobre 1977 si gioca l’amichevole fra il Santos e i Cosmos,le due squadre della sua carriera. ‘O Rei’ gioca il primo tempo con i Cosmos e il secondo con l’amato Santos. 

Gli Statunitensi vincono 2-1, grazie anche al pareggio firmato dal numero 10 nel primo tempo. Secondo i calcoli complessivi, è il 1281° goal della sua carriera. A fine partita, Pelé, che impugna una bandiera del Brasile nella mano destra e una degli Stati Uniti in quella sinistra, è caricato sulle spalle dai compagni di squadra e portato in trionfo fuori dal campo.

La rivalità con Maradona

Oltre alla sua grande carriera, Pelé ha dato vita ad una delle più grandi rivalità della storia del calcio, quella con Maradona. A ‘Che tempo che fa’ raccontò di una loro chiacchierata, dove, tra scherzi e risate, si sfidavano su chi fosse stato il migliore.

“A volte con Diego ci incontravamo e anche se non eravamo amici intimi scherzavamo. Lui diceva di essere migliore di me, ma io gli ricordavo che segnavo di testa, di destro e di sinistro, lui solo di sinistro. Scherzavamo molto tra di noi su questa rivalità ma la verità è che di fronte a Dio siamo tutti uguali”.

Una sfida che ha sempre diviso tutti gli appassionati di calcio e, che senza troppi dubbi, continuerà a farlo in eterno. Non è un caso che neanche la FIFA, nonostante il referendum indetto ad inizio anni 2000, è riuscita a dire chi dei due sia stato il migliore di sempre. Se Pelé paga il fatto di non aver mai giocato in Europa, dalla sua ha la quantità di gol messi a segno, una cifra mostruosa e che rimarrà per sempre nella storia del calcio.