Una ragazzina 16enne è stata uccisa in Iran per essere uscita di casa con un cappello da baseball al posto del tradizionale velo. La notizia è stata divulgata dalla attivista iraniana, Masih Alinejad, rifugiata negli Stati Uniti.
Il nome della vittima è Mahak Hashemi ed è l’ennesima vita spezzata dalle forze dell’ordine nello Stato islamico, dopo il caso tristemente noto della morte della 22enne Mahsa Amini.
La ragazza aveva infatti deciso di indossare un cappellino sportivo e non il velo destinato a coprire il volto delle donne islamiche per passeggiare tra le vie della sua città, Shiraz, situata nell’Iran centromeridionale.
La città di Shiraz era già salita alla ribalta della cronaca per la diffusione di una foto di due giovani innamorati che, sfidando ogni tabù imposto dal regime, erano stati ritratti mentre si scambiavano un bacio nel bel mezzo del traffico della città. Per questo motivo la zona è ritenuta un importante focolaio di rivolta ed è particolarmente presidiata dalle autorità.
Mahak è stata notata da alcuni agenti delle forze di sicurezza e percossa a morte a manganellate. Probabilmente il gesto di indossare il cappello da baseball era un modo della ragazzina per manifestare in segno di protesta contro il regime al potere nel Paese.
Iran 16enne uccisa: vietato celebrare il funerale
L’episodio è accaduto Giovedì 24 Novembre 2022 e per 48 ore nessuno tra familiari ed amici ha avuto notizie di lei. I genitori ne avevano quindi denunciato la sparizione, chiedendo aiuto alle autorità affinché fosse rintracciata.
Solo il Sabato successivo il padre è stato convocato dalle autorità e invitato a recarsi all’obitorio della città per il riconoscimento di due cadaveri la cui identità era ignota. Uno di questi corpi era proprio della giovane figlia.
La salma era in condizioni terribili: il volto era per metà completamente distrutto dalle manganellate inflitte, la spina dorsale spezzata dalle bastonate.
Al padre è stato proibito di celebrare il funerale della giovane e per riavere il corpo della figlia gli è stato richiesto un lauto riscatto. I funzionari dell’IRGC hanno catalogato il decesso come incidente, come già accaduto per le innumerevoli vittime della rivolta.
50 minorenni deceduti nelle proteste
Mahak Hashemi aveva solo 16 anni e viveva a Shiraz con la famiglia. Da qualche anno aveva perso la madre, malata di cancro e aiutava così il padre ad occuparsi delle due sorelle più piccole.
Era profondamente toccata dalla repressione del regime e da quanto accaduto a Mahsa Amini tanto che aveva voluto prendere parte alla protesta con un gesto molto forte: abbandonare completamente il hijab quando usciva di casa ed indossare un cappellino da baseball per coprire comunque i capelli.
Purtroppo il gesto di protesta le è stato fatale. È solo l’ultima, in ordine cronologico, delle vittime causate dalla violenta repressione delle manifestazioni di protesta condotta dal regime iraniano. Le notizie riportate dalla stampa parlano di 416 decessi, ben 50 di essi non avevano ancora raggiunto la maggiore età.
Sedicenne come Mahak era anche Reza Kazemi ucciso a colpi d’arma da fuoco dalle forze di sicurezza a Kamiyaran nel tumulto di una manifestazione di protesta.
Nella giornata di ieri anche l’Unicef era intervenuto per denunciare gli episodi di violenza nei confronti soprattutto dei ragazzi al di sotto dei 18 anni. In una nota ufficiale infatti si chiedeva di “porre fine a tutte le forme di violenza e abuso che, secondo le notizie arrivate, hanno causato la morte di oltre 50 bambini e il ferimento di molti altri durante i disordini pubblici in Iran”.
Alcuni giorni prima anche l’Alto commissario per i diritti umani dell’ONU, Volker Turk, durante una sessione straordinaria del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite a Ginevra, aveva segnalato l’impressionante numero di minorenni arrestati nelle manifestazioni di protesta, sottolineando che in alcuni casi la cattura dei ragazzi sia stata eseguita all’interno delle scuole.