Pensioni quota 103 come funziona. Per quanto riguarda le pensioni, il prossimo anno Quota 102 viene sostituita dalla nuova Quota 41 con 62 anni d’età (Quota 103 di fatto).

Pensioni quota 103 come funziona

La Quota 103 consente di andare in pensione con 41 anni di contributi e 62 anni di età anagrafica, mentre per chi decide di restare al lavoro è stato rifinanziato il bonus Maroni che prevede una decontribuzione del 10%.

Con Quota 103 potrebbero uscire nel 2023 i nati entro il 1961 che abbiano cominciato a lavorare entro il 1982. 

Secondo i numeri più aggiornati, dovrebbero essere coinvolti in questa riforma circa 48mila lavoratori. Per mandarli in pensione, la spesa sarà di circa 750 milioni di euro.

Il meccanismo di Quota 103, del resto, è semplice: per andare in pensione occorreranno 62 anni di età e 41 di contributi. Si tratta di due requisiti che offrono maggiori opportunità di lasciare il lavoro in anticipo. Rispetto a Quota 102, per cui occorrevano 64 anni di età, si può anticipare la pensione di due anni anagrafici, anche se aumenta la quota contributiva rispetto, per esempio, a Quota 100 (erano 38 gli anni contributivi necessari per l’accesso). 

Penalizzazioni

Uno degli aspetti di maggiore interesse riguarda poi l’ammontare dell’assegno pensionistico. Rispetto a Opzione donna, per esempio, c’è una forte penalizzazione, cioè il taglio di circa il 30% sulla cifra spettante. Non è prevista alcuna penalizzazione dell’uscita anticipata dal mondo del lavoro, ma bisogna sempre tener conto che il sistema di calcolo contributivo, ovviamente, abbassa l’importo pensionistico: prima si accede alla pensione, tanto più si riduce l’assegno pensionistico.

Opzione donna 2023 ultimissime

Nella bozza della Manovra dello scorso 25 novembre il governo aveva pensato di legare l’età anagrafica al numero di figli della lavoratrice, prevedendo l’accesso a Opzione donna a 58 anni a chi ha almeno due figli, a 59 anni a chi ha un solo figlio e a 60 alle lavoratici che non sono madri e senza intervenire sugli anni di contributi, lasciati invariati a 35. Ora però a Palazzo Chigi sembrano aver cambiato idea.

Si tornerebbe dunque alla norma originaria, prorogata per un altro anno: pensione anticipata per le lavoratrici con 35 anni o più di contributi e almeno 58 anni d’età per le dipendenti e a 59 anni per le autonome. I motivi del dietrofront? La modifica sarebbe nata originariamente per ottenere dei risparmi restringendo la platea; ma poi si sarebbe visto che i risparmi non erano così determinanti. Inoltre il ministero del Lavoro è intervenuto ponendo sulla riforma abbozzata dal governo una questione di costituzionalità, chiedendosi quanto il numero di figli di una donna potesse impattare sul concetto di uguaglianza.

Si tratta solo di vedere se per il 2024 e gli anni seguenti verrà lasciato questo requisito o se verrà aumentato di un anno a quota 59-60 anni. Resta fermo il criterio in base al quale coloro che utilizzeranno questo canale dovranno accettare una decurtazione dell’assegno perché l’intera pensione verrà calcolata con il sistema contributivo. Dovrebbero poter utilizzare questa via, nel nuovo anno, anche le lavoratrici che siano nate entro il 1963 o il 1964 e che abbiano cominciato a lavorare anche nel 1988. Si tratta delle lavoratrici dipendenti, pubbliche e private, e autonome iscritte all’Inps, che abbiano raggiunto i 58 anni di età, se lavoratrici dipendenti, o i 59, se autonome, entro il 31 dicembre 2022.