Una scioccante scoperta ha mostrato il ritorno in vita di un virus, risvegliato dopo 48.500 anni trascorsi intrappolati nel permafrost siberiano.
Un gruppo di scienziati francesi dell’Università di Aix-Marseille ha infatti condotto alcuni esperimenti in laboratorio considerando 12 nuovi virus appartenenti a diverse specie ed estratti da 7 campioni di suolo prelevati dal terreno perennemente ghiacciato della Siberia.
I test hanno così mostrato che, una volta scongelato il campione di suolo, il virus intrappolato all’interno presentava ancora parametri vitali.
L’entità biologica era infatti stata ibernata ancor prima dell’ultima glaciazione terrestre e fino ad oggi era rimasto inerte ma ancora in vita.
Dalle analisi infatti pare che il virus risalga a circa 48.500 anni fa e questo lo identifica come il più antico ad essere stato “resuscitato” finora.
Il virus è stato rinvenuto in un campione di permafrost prelevato 16 metri sotto il fondale di un lago nella regione della Jacuzia, nella Siberia orientale. L’agente infettivo è stato classificato come “gigante” ed appartiene al genere “Pandoravirus” il cui genoma è di gran lunga più esteso e sconosciuto rispetto ai virus dell’influenza.
Per avere un’idea delle dimensioni di questo virus, basti pensare che gli agenti di influenza classificati “grandi” hanno una misura appena inferiore al micrometro, ossia ad un millesimo di millimetro. Il virus appena riportato in vita invece ha una grandezza mille volte superiore.
La scoperta segna un record assoluto per l’antichità di entità biologiche ancora in vita. In precedenza infatti il virus datato più in là nel tempo aveva un’età approssimativa di 27.000 anni.
La scienza tuttavia non si pone limiti poiché in linea puramente teorica sarebbe possibile far tornare in vita elementi biologici intrappolati ancor più in profondità nel permafrost e di conseguenza databili ad ere ancor più antiche. Infatti è noto che lo strato di permafrost più profondo sia risalente a circa un milione di anni fa.
Tuttavia la strumentazione attuale attraverso la datazione al radiocarbonio permette di attribuire con relativa esattezza l’età del terreno ghiacciato a non più di 50.000 anni.
Virus risvegliato dopo 48.500 anni: può infettare e replicarsi
Lo studio ha permesso inoltre di accertare inoltre che nove tra i virus sottoposti ad esperimento si sono rivelati capaci di infettare e replicarsi all’interno di organismi unicellulari come le amebe. L’esperimento è stato condotto in completa sicurezza ed infatti sono stati “risvegliati” solo virus innocui e inabili ad infettare piante o animali.
Gli scienziati infatti hanno aggiunto il campione di permafrost al cui interno erano state intrappolati i virus a colture di amebe in ambiente controllato da laboratorio. La successiva analisi delle piastre con microscopio ha permesso di evidenziare che gli organismi ospiti erano stati contaminati dal virus a riprova dunque che quest’ultimo era tornato attivo.
Non è però escluso che nelle stesse porzioni di permafrost potrebbero esserci state anche altre varianti di virus che non infettato le amebe, tuttavia non sono state investigate in questo test.
La scoperta è particolarmente importante perché evidenzia la possibilità che il riscaldamento climatico possa far tornare attivi virus come quelli sottoposti ad esperimento o addirittura agenti patogeni pericolosi per piante e animali oggi dormienti nel permafrost.
Il rischio di scongelamento del suolo è accentuato dallo sfruttamento di queste zone, un tempo disabitate. In quest’area infatti oggi vivono e lavorano diverse persone soprattutto impegnate nello sfruttamento delle risorse minerarie. Ciò determina una sempre più frequente rimozione degli strati superiori del permafrost e di conseguenza un riscaldamento per quelli più profondi.
L’attività di residenti e lavoratori in loco però è solo un fattore accelerante ad una attività già in corso. Infatti i virus possono essere “risvegliati” autonomamente a causa del riscaldamento globale provocato dalle enormi quanti di metano e anidride carbonica disperse nell’atmosfera.
Gli scienziati al momento rassicurano che l’eventualità che un agente patogene potenzialmente letale per l’uomo venga risvegliato dallo scongelamento del permafrost è un’ipotesi abbastanza remota. Tuttavia è un’importante scoperta che accentua ancor più le conseguenze del riscaldamento climatico globale.