Sequestrate magliette ai mondiali dei tifosi da parte della sicurezza. Uno slogan a sostenere le proteste contro il regime di Teheran recita “freedom” ed è un’altra censura davanti alla Fifa.
Girano filmati dagli spalti che riprendono gli steward tempestivi, pronti a sequestrare striscioni e magliette proprio oggi, durante la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Sequestrate magliette ai mondiali in Qatar: cosa è successo
Proprio oggi, 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, in Qatar sono vietate le magliette etichettate “ Woman Life Freedom” uno slogan per i diritti delle donne in Iran. Un divieto negli stadi che sta facendo il giro del mondo insieme alle immagini della sicurezza che reprime l’iniziativa dei tifosi.
Prima che cominciasse l’incontro sportivo Galles-Iran Numerosi tifosi sono stati bloccati fuori dall’impianto Bin Ali di Al Rayan.
Le magliette con slogan rappresentano un simbolo di protesta a favore dei diritti delle donne in Iran. Il sequestro e la censura rappresentano un gesto molto forte da parte delle autorità di polizia e della sicurezza. In una giornata come questa di certo non poteva passare inosservato agli occhi degli spettatori e a quelli di tutte le campagne di sensibilizzazione per i diritti delle donne.
Non sono solo le magliette ad essere censurate. Sul web circolano diversi video che mostrano il personale pronto a sequestrare anche bandiere e qualunque altro segno di protesta all’interno dello stadio, sugli stessi spalti, proprio mentre è ancora in corso la partita.
L’episodio rappresenta un vero e proprio scandalo. Non sono stati i pochi ad accusare l’organo di governo del calcio FIFA , poiché aveva promesso libertà di espressione e difesa dei diritti in massima tutela. I fatti documentati non sembrano coerenti con le decisioni dichiarare pubblicamente in precedenza.
Tutt’altro è stato vietato l’utilizzo di magliette manifestanti la semplice espressione è richiesta di libertà per le donne a seguito di un altro divieto: quello di indossare la fascia “One Love” ai Capitani per i diritti lgbt. due episodi che non restano isolati e che inevitabilmente mostrano un atteggiamento piuttosto ostile a determinate tematiche.
Proteste dall’Iran
Dopo la morte di Mahsa Amini, imprigionata dalla morality police iraniana, per aver indossato l’hijab in modo non corretto, il 17 settembre, è iniziata una lunga protesta a favore dei diritti delle donne e contro il regime iraniano degli ayatollah.
All’esordio contro gli inglesi, per protesta, i calciatori dell’Iran avevano deciso di non cantare l’inno nazionale iraniano, ma, prima della partita contro il Galles, lo hanno fatto, perché, secondo alcune fonti, sarebbero stati minacciati dal regime stesso. E’ anche giunta la notizia che un ex compagno di squadra della nazionale, il calciatore Voria Ghafouri, è stato arrestato davanti al figlioletto di dieci anni, per aver insultato e infangato la reputazione della squadra di calcio, oltre che per aver fatto propagnada contro lo Stato islamico: cos’era successo? Voria Ghafouri ha attivamente dato il suo sostegno alla causa della ribellione contro lo Stato iraniano, durante i due mesi successivi alla morte di Mahsa Amini.
Ma Voria Ghafouri non è l’unico grande sportivo ad esser stato toccato dal regime islamico: anche Hossein Mahini è stato arrestato dalle autorità ad ottobre, per aver preso parte alle proteste, per poi essere successivamente rilasciato.
Sembra, infatti, che gli atleti che abbiano dimostrato il loro supporto alle manifestazione siano stati arrestati, senza conoscere il loro destino.
Anche le atlete che hanno gareggiato senza hijab, in sostegno alle proteste, siano andate incontro alla stessa sorte: esempi sono Elnaz Rekabi, che ha gareggiato a Seul senza indossare il velo ed è stata condannata agli arresti domiciliari.