Secondo la procura di Pescara, l’hotel Rigopiano “era divenuto una trappola“. Al termine del processo con rito abbreviato, legato alla vicenda della valanga che aveva travolto l’albergo di Farindola provocando 29 morti nel gennaio 2017, i magistrati hanno presentato le loro richieste di condanna ad una sfilza di personalità implicate nella tragedia.
Spicca la richiesta di 12 anni per l’allora prefetto di Pescara Francesco Provolo. 11 anni e 4 mesi per il sindaco di Farindola Ilario Lacchetta e il tecnico comunale Enrico Colangeli, 10 per i dirigenti della Provincia Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, 9 anni per i dirigenti della Prefettura Ida De Cesaris e 8 anni per Leonardo Bianco. Per tutti loro l’accusa è di omicidio, disastro colposo e lesioni. Mentre per l’ex presidente Antonio Di Marco la richiesta è stata di 6 anni.
La procura chiede 5 anni per i dirigenti regionali Carlo Giovani, Pierluigi Caputi, Emidio Primavera, Sabatino Belmaggio, Carlo Visca, 7 anni per Vincenzo Antenucci. Per gli ex sindaci del comune di Farindola Massimiliano Giancaterino e Antonio De Vico sono stati chiesti 6 anni, per il gestore dell’hotel Bruno Di Tommaso 7 anni e 8 mesi. Pene di 4 anni per il geologo Luciano Sbaraglia e per il dirigente provinciale Giulio Honorati, 3 per Tino Chiappino, 2 per Andrea Marrone, 1 per il tecnico Giuseppe Gatto. Sul fronte del presunto depistaggio in Prefettura, la procura chiede 2 anni e 8 mesi per Daniela Acquaviva e Giulia Pontrandolfo, 2 anni per Giancarlo Verzella.
Per Antonio Sorgi e i funzionari della Prefettura Salvatore Angieri e Sergio Mazzia è stato chiesto il proscioglimento a causa della prescrizione. Per via della prescrizione, è ritenuto da assolvere anche l’imprenditore Paolo Del Rosso.
Hotel Rigopiano: secondo i pm si sarebbe potuta evitare la tragedia, ora “si deve rispondere penalmente”
I pm Andrea Papalia e Anna Benigni, coordinati dal procuratore Giuseppe Bellelli, hanno ricostruito una serie di errori, omissioni e ritardi, decisivi nel rendere il resort di lusso una vera e propria “trappola” in quelle tragiche ore. Durante una requisitoria durata due giorni, i pubblici ministeri hanno posto l’accento sui ritardi nell’apertura della Sala operativa e del Centro coordinamento soccorsi (CCS).
Abbiamo rintracciato due note prefettizie. Una con data 16 gennaio 2017, a firma del capo gabinetto Bianco, inviata alla presidenza del Consiglio dei Ministri, al ministero dell’Interno e per conoscenza al presidente della Regione Abruzzo e alla Sala operativa della Protezione civile regionale; l’altra con data 17 gennaio, a firma del prefetto di Pescara Provolo, inviata alla presidenza del Consiglio dei Ministri e al ministero dell’Interno.
In queste note, inviate a seguito dell’allerta meteo, veniva rappresentata dalla Prefettura l’avvenuta attivazione, a partire dalla mattina del 16 gennaio, alle ore 9, della Sala operativa provinciale di Protezione civile e del Centro coordinamento soccorsi.
Le indagini “hanno dimostrato in modo chiaro la falsità delle circostanze rappresentate in queste note”, finalizzate a dimostrare una apparente tempestività e capacità di intervento alla Prefettura. Il Centro coordinamento soccorsi e la Sala operativa sarebbero dunque state aperte “solo sulla carta”, perché “l’effettivo insediamento si verificherà il 18 gennaio mattina”. Secondo il pm, una attivazione tempestiva della Sala operativa e del Centro Coordinamento Soccorsi avrebbe reso possibile evitare la tragedia.
Alla Provincia di Pescara si contesta di non aver sgomberato dalla neve i 9 chilometri della Strada Provinciale 8, dove rimasero bloccati anche i soccorsi, impedendo agli ospiti di andare via dal resort, mentre al sindaco di Farindola Lacchetta viene contestato di non aver attuato il Piano d’emergenza, di non aver evacuato l’hotel Rigopiano e di non aver convocato la commissione valanghe. Insomma, l’accusa è del “fallimento di un intero sistema“.
Anche della Regione, coinvolta per la mancata realizzazione della Carta valanghe, compito “che spettava ai dirigenti della Regione Abruzzo ma quell’idea tempestiva e lungimirante è rimasta una buona intenzione senza risultati. Si è trattato di un ritardo inaccettabile”. Ed è proprio da questo ritardo “che si deve partire” perché “di questa responsabilità si deve rispondere penalmente“.