Lolita, il fortunato romanzo di Vladimir Nabokov pubblicato nel 1955, è entrato, complice il cinema, a far parte dell’immaginario collettivo. Tanto che il sostantivo “Lolita” è diventato nome comune, sinonimo di ragazzina sessualmente precoce e smaliziata, che suscita attrazione erotica in uomini adulti.
Una definizione frutto di un annoso fraintendimento del messaggio del romanzo e della figura di Lolita stessa, ingiustamente eroticizzata più dal cinema e dal pubblico che da Nabokov stesso.
Lolita: storia di un abuso
Lolita è il racconto in prima persona di un professore francese trapiantato negli Stati Uniti, che si firma con lo pseudonimo di Humbert Humbert, il quale nutre una predilezione sessuale per quelle che lui chiama ninfette. Vale a dire, ragazzine di età compresa tra i nove e i quattordici anni, in possesso di determinate caratteristiche fisiche e caratteriali che egli percepisce come attraenti. Conosciuta fortuitamente la dodicenne Dolores Haze (Lolita, appunto), Humbert ne sposa la madre e, alla morte accidentale di quest’ultima, sfrutta il proprio nuovo ruolo di tutore della bambina per approfittare, sessualmente e psicologicamente, di lei.
Essendo il romanzo scritto in prima persona, Humbert Humbert alterna tentativi di giustificare e romanticizzare la propria condotta a momenti di feroce autoaccusa, in cui ammette di aver fatto di Dolores la propria “piccola schiava sessuale”.
Se la posizione del protagonista è inevitabilmente ambigua, è chiara, invece, quella di Nabokov, che probabilmente si ispirò, nella stesura di Lolita, ad un tristissimo caso di cronaca del tempo. Vero o meno che sia quest’ultimo aneddoto, l’autore racconta, in calce al suo libro: “A quanto ricordo, l’iniziale brivido di ispirazione fu in qualche modo provocato da un articolo di giornale su una scimmia del Jardin des Plantes, la quale, dopo mesi di blandizie da parte di uno scienziato, aveva fatto il primo disegno a carboncino dovuto a un animale: il bozzetto rappresentava le sbarre della gabbia della povera creatura”.
Quale che sia la suggestione che ispirò Lolita, se il fatto di cronaca o il triste aneddoto letto sul giornale, si tratta comunque di una storia di prigionia, analoga alla cattività della piccola protagonista del romanzo. E, in qualche modo, anche Humbert Humbert è prigioniero delle proprie stesse pulsioni; tanto che, sebbene sia consapevole della malvagità delle proprie azioni, egli sembra non essere in grado di evitarle.
Lolita al cinema
È il cinema, probabilmente, il principale responsabile dell’errata interpretazione del racconto di Nabokov e della romanticizzazione del rapporto tra i due protagonisti. A partire dalla scelta delle attrici: sia Kubrik, nella sua versione leggermente rivisitata che ha reso nota la figura di Lolita al grande pubblico, sia Adrian Lyne, che si mantiene fedele al romanzo nella narrazione ma non sufficientemente nello spirito, ci mostrano infatti, nei panni della ninfetta, adolescenti ben più mature di quelle amate dall’Humbert del romanzo. L’avvenenza e la sensualità, esasperate dalla telecamera, delle sedicenni Sue Lyon (Kubrik) e Dominique Swain (Lyne) sembrano voler legittimare, se non legalmente, almeno nell’opinione comune, l’attrazione dell’adulto Humbert verso di loro.
Figure, insomma, ben lontane dalla dodicenne Lolita letteraria, minuziosamente descritta come fisicamente immatura, e proprio per questo prediletta dal pedofilo Humbert.
L’amore in Lolita
Quest’ultimo, dal canto suo, viene rappresentato, al cinema, come un uomo romantico, talvolta ingenuo, sicuramente innamorato, totalmente in balìa di una compiacente ninfetta.
L’Humbert letterario, invece, solo al termine del romanzo si accorge, o si convince, di amare genuinamente Dolores Haze. Per la gran parte del racconto, la sua non è che una bruciante passione, e i sentimenti, persino il destino di lei, gli sono indifferenti. Il benessere della bambina gli sta a cuore solamente nella misura in cui più ella è sana ed allegra, più facile diventa convincerla a concedersi.
Tanto che egli arriva a minacciarla e a ricattarla per ottenere da lei favori sessuali, mentre progetta di liberarsene quando, superati i quattordici anni, ella perderà per lui ogni attrattiva. Giunge persino, Humbert, a fantasticare di mettere incinta la fanciulla al solo scopo di poter abusare, in futuro, della propria stessa figlia e, in un futuro ancora più lontano, di un’ipotetica nipote.
Per quanto riguarda Lolita stessa, il romanzo indugia sul suo malessere e sulla sua repulsione per Humbert in un modo che, su pellicola, è soltanto accennato. Le due ninfette cinematografiche appaiono fin troppo spesso compiacenti o seduttive, il che ha contribuito ad offrire un’idea distorta dell’infantile vittima letteraria del professor Humbert che, sebbene sessualmente precoce, non smette mai di apparirci come una bambina.
Ragioni commerciali
Una romanticizzazione della storia che ha, probabilmente, ragioni commerciali. È palese, infatti, come un’erotica storia d’amore tra una bella adolescente ed un uomo maturo sia destinata a vendere molto di più rispetto ad una storia di abuso.
C’è questo, con ogni probabilità, alla base della romanticizzazione cinematografica di Lolita, che si traduce inevitabilmente in un’analoga romanticizzazione nell’immaginario collettivo. Tuttavia, al termine della storia, Humbert Humbert ci appare per la prima volta interamente consapevole dell’atroce crimine da lui commesso, il furto di un’infanzia e di una vita: “Ciò che udivo era soltanto la melodia dei bambini che giocavano, soltanto quello (…) e allora capii che la cosa disperatamente straziante non era l’assenza di Lolita dal mio fianco, ma l’assenza della sua voce da quel concerto di suoni”.
Lo stesso non può ancora dirsi dello spettatore medio, che continua a vedere in Lolita la mitologica donna – bambina che si abbassa gli occhiali da sole per concedere ad un uomo romantico e disperato il miraggio di uno sguardo tutt’altro che infantile.
Chiara Genovese