Altro che cartellino giallo per coloro che indossano una fascia “fuori ordinanza” ai mondiali in Qatar, i calciatori iraniani che non hanno cantato l’inno nazionale nella partita inaugurale rischiano molto di più. Il loro silenzio ha fatto il giro del mondo e il regime non ne sarà soddisfatto.

Già prima della partita il difensore e capitano Ehsan Hajsafi in conferenza stampa ha esordito con l’espressione “nel nome del dio dell’arcobaleno”, la stessa usata in un video dal piccolo Kian Pirfalak, una delle vittime della repressione costata 400 morti e 15mila arresti. Ci vuole coraggio per esprimersi così: “Noi siamo qui, ma questo non vuol dire che non dobbiamo essere la loro voce. Io spero che le condizioni cambino secondo le aspettative del popolo”. 

Da Gino Bartali ai calciatori iraniani che non cantano l’inno nazionale

Quel coraggio che mostrò un grande sportivo del passato, il mitico ciclista Gino Bartali al quale la sua città, Firenze, ha dedicato una piazza e una statua, inaugurata il 19 novembre, per rendere onore al campione e all’uomo.

Ginettaccio, infatti, non solo è stato un mito dei tempi del ciclismo eroico ma un generoso benefattore dell’umanità. “I tragici accadimenti legati a fascismo e nazismo – ha detto il presidente di Federciclismo Cordiano Dagnoni – hanno fatto emergere ancor più la caratura di Gino Bartali, il giusto tra le nazioni, che ha messo a disposizione il suo status di campione per salvare le vite di molte persone destinate a morte certa. Il suo viaggio costante, con i documenti nella canna delle bicicletta, ha permesso a migliaia di ebrei di poter godere di un nuovo inizio”.

Gesti valorosi, come quelli dei calciatori iraniani ai mondiali in Qatar. 

Stefano Bisi