Migranti climatici, protezione. La questione migranti è molto delicata, negli ultimi anni in Italia e in Europa si è molto dibattuto sul fenomeno di migrazione, soprattutto se clandestina.
Il fenomeno di migrazione interessa spesso ragazzi giovani anche minorenni, madri con bambini piccoli, addirittura anche con neonati che salgono sulla barchetta della speranza attraversando le pericolosità che presenta il mare aperto.
Un mare sconfinato che più miglia fai ma sempre in mare stai: non sembra mai finire, è come se la terra ferma non esistesse e poi di colpo boom, iniziano a cadere uno a uno nell’acqua perché la barchetta non regge più il sovrappeso al quale è sottoposto.
Tante persone in otto, nove metri di lunghezza. Chi affoga e muore, chi è fortunato perché sa nuotare, comunque sia si consuma costantemente un dramma umano. Dei 200 che partono ne arrivano la metà.
Il fenomeno dello spostamento di massa verso la terra promessa conosce motivi ben precisi: un migrante scappa dalla propria terra perché c’è la guerra che lacera il paese, la dittatura e la violenze fisica, il sopruso, la repressione. Il suo popolo è sottomesso e sa che la cosa migliore è scappare.
Poi c’è il migrante che scappa perché nella sua terra c’è povertà, le condizioni per restare non ci sono e rimanere senza un briciolo di lavoro da fare significherebbe morire di fame.
Noi qui però non capiamo, noi che stiamo dalla parte bella, quella buona dove se vuoi bere un bicchiere di acqua liberamente puoi farlo, dove se vuoi sorridere a un passante puoi farlo, dove se vuoi urlare a squarcia gola per la contentezza, puoi farlo. Li nella terra invasa dall’ignoranza no!
Un migrante poi quando arriva da noi (nella nostra bella Italia e in Europa) cerca disperatamente asilo, cioè accoglienza riconosciuta per arrivare poi ad ottenere lo stato di rifugiato, cioè la condizione che lo pone sotto protezione e che gli permette di rimanere in una nazione che non è la sua ma con tanto di documenti e permessi di soggiorno, anche se arrivare a tutto questo richiede molti passaggi e molte valutazioni di commissioni preposte che decidono se il caso è meritevole di accoglienza o meno.
Migranti climatici, protezione: anche loro in cerca di accoglienza
C’è un altro tipo di migrante, però che scappa, il cosiddetto migrante climatico, cioè colui il quale è costretto a lasciare la propria terra a causa delle condizioni climatiche in cui versa il proprio paese: non si manifestano solo catastrofi naturali sempre più frequenti e imprevedibili ma anche condizioni ambientali che rendono inospitali l’uomo.
Le condizioni inospitali, cioè inadatte alla vita quotidiana dell’uomo sono riconducibili alle temperature estreme siano esse calde (siccità nell’Africa subsahariana: la mancanza dell’acqua rendono impossibile la vita dell’uomo che vive di sola agricoltura) siano esse fredde (le popolazioni che lasciano il proprio territorio perché sono zone colpite da uragani e alluvioni).
E’ chiaro che quando si parla di queste condizioni si riferiscono sicuramente a popolazioni già povere e più vulnerabili che non hanno possibilità di sviluppo in nessun caso: esiste per informazione di cronaca un data base che monitora gli spostamenti interni a livello globale e nell’anno 2020 ha indicato in circa 30 milioni il numero di persone che sono rimaste sfollate a causa del cambiamento climatico.
Il dato è stato riscontrato in medio Oriente, in America centrale, nel Sud-Est asiatico e nel continente dell’Africa.
Migranti climatici, protezione: invisibili alla legge
Il cambiamento climatico che induce un uomo a cercare casa altrove (quindi condizione involontaria di spostamento non dipesa dalla volontà dell’uomo) è un motivo da sottoporre alla commissione che rilascia lo stato di protezione internazionale che però spesso non viene concesso.
Non è equiparato agli altri motivi come la guerra, la dittatura, il sopruso etc… etc…cioè che procurano nel migrante il fondato timore di essere perseguitato. Va a finire che queste persone rimangono per la maggior parte invisibili davanti alla legge.
Una considerazione va fatta e bisogna ammettere che negli ultimi anni sono stati fatti degli importanti passi avanti, riconoscendo in diversi forum internazionali il legame tra cambiamento climatico e migrazioni, ma d’altro canto si può affermare tranquillamente senza sorta di smentita che manca una vera e propria integrazione normativa delle due cose.
In poche parole, ai migranti climatici non viene riconosciuto lo status di rifugiati, non possono cioè beneficiare della protezione internazionale quando sono costretti ad abbandonare le loro case.
Migranti climatici, protezione: rispediti come pacchi
Un danno che lascia queste persone doppiamente vulnerabili. Non vedersi riconoscere la protezione internazionale significa infatti essere rimandati indietro, rimpatriati, verso quel Paese in cui però non ci sono più condizioni di vita sicure.
La normativa di riferimento dello status di rifugiato è quella della Convenzione di Ginevra del 1951, secondo cui:
chiunque, per causa di avvenimenti anteriori al 1° gennaio 1951 e nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.
Dentro a questa definizione, ad oggi, sono state riconosciute le persone che scappano da conflitti armati, persecuzioni, guerre civili, violenza. È molto complesso, però, dimostrare come il cambiamento climatico sia il diretto responsabile delle ragioni che rendono un determinato luogo pericoloso.
Spesso, però, è proprio il cambiamento climatico ad inasprire tensioni sociali o politiche, nonché violenze o discriminazioni verso determinati gruppi.
Migranti climatici, protezione: l’Onu
Le Nazioni Unite in merito traggono delle considerazioni e sottolineano quanto sia importante riconoscere anche a livello giuridico e normativo il legame che evidentemente esiste tra cambiamento climatico e migrazioni.
Avanzano due esempi di convenzioni internazionali al passo con i tempi: la Convenzione sui rifugiati dell’OUA e la Dichiarazione di Cartagena, ambe due accordi internazionali che riguardano due regioni precise del pianeta: quella africana e quella dell’America latina, tra le più colpite dal cambiamento climatico.
Grazie a questi documenti oggi sono 48 i Paesi africani e 14 quelli sudamericani che riconoscono come rifugiati anche i migranti climatici.
Cosa dice la Convenzione dell’OUA e la Dichiarazione di Cartagena
Nello specifico la Convenzione dell’OUA, all’articolo 1(2), assicura lo status di rifugiato a “qualsiasi persona che, a causa di eventi che disturbano seriamente l’ordine pubblico in parti o nell’intero Paese di sua provenienza, sia costretta ad abbandonare il suo abituale luogo di residenza per cercare rifugio in un altro luogo, al di fuori del suo Paese di origine”.
La Dichiarazione di Cartagena, invece, al terzo punto delle conclusioni, raccomanda di includere tra i rifugiati “le persone che sono fuggite dal loro Paese perché le loro vite, la loro sicurezza o libertà è stata minacciata da altre circostanze che hanno seriamente minacciato l’ordine pubblico”.
Se siamo attenti alla lettura delle due dichiarazioni, nessuna delle due, fa riferimento al cambiamento climatico, ma più generalmente a eventi o circostanze che hanno minacciato l’ordine pubblico.
Nella loro concreta applicazione, però, specialmente nel caso dei disastri ambientali, sono stati inclusi gli effetti del cambiamento climatico tra gli elementi che hanno minato all’ordine pubblico, riconoscendo così protezione ai migranti ambientali.