Che cosa fa Pietro Maso oggi? Libero dal 2013 dopo aver beneficiato della semilibertà nel 2008, Maso, che nel 1991, all’età di soli 19 anni, si macchiò dell’omicidio di entrambi i genitori – con l’aiuto di tre complici – nel comune di Montecchia di Crosara, in provincia di Verona, per riscuoterne l’eredità, è ora tornato sulla vicenda, forse per l’ultima volta, comparendo nella trasmissione televisiva “Cronace Criminali”, condotta su Rai 1 da Giancarlo De Cataldo.

A trent’anni dall’omicidio, Pietro Maso oggi sui genitori uccisi

Un parricidio brutale, violento e apparantemente inspiegabile, quello consumato ai danni di una coppia di coniugi nella provincia veronese la notte tra il 17 e il 18 aprile 1991. Le vittime sono Antonio e Mariarosa e il mandante, nonché uno degli esecutori dell’omicidio, è il figlio 19enne, Pietro Maso, aiutato da tre coetanei. Il movente? Il più banale di tutti: i soldi.

I rapporti tra Pietro e i genitori si erano incrinati poche settimane prima dell’omicidio, quando i due coniugi, già preoccupati per le sorti del figlio, che aveva lasciato il lavoro per iniziare una vita di sregolatezze insieme ai suoi amici, avevano trovato nella taverna di casa due bombole di gas nascoste dal ragazzo e che non facevano presagire nulla di buono. In effetti Maso aveva già premeditato di uccederli e, nei suoi piani, lo avrebbe fatto per asfissione, accendendo il gas e ostruendo le uscite. Ma era stato scoperto. Così ci aveva riprovato, qualche settimana dopo, con l’aiuto di un suo amico, Giorgio, che avrebbe dovuto colpire la madre di Pietro con uno schiacchia bistecche; ma al ragazzo era mancato il coraggio e così anche il secondo e il terzo tentativo erano falliti. Pietro non si era perso d’animo, continuando a perfezionare il suo piano che, alla fine, riuscì, grazie all’aiuto di altre due persone: Damiano Burato e Paolo Cavazza.

I ragazzi si erano mascherati e, aspettando che i coniugi rientrassero a casa, avevano provveduto a svitare le lampadine per lasciare l’ambiente senza luce. Una volta rientrato, il padre di Pietro, convinto che si fosse trattato di un blackout, si era diretto verso il contatore, dove era stato colpito con un tubo di ferro. Poi era stata la volta della madre. I due erano morti dopo quasi un’ora di calci, colpi e tentativi di soffocamento: attimi interminabili di agonia, durante i quali, forse, si erano resi conto del coinvolgimento del figlio, che alla fine, poco dopo l’avvio delle indagini, aveva confessato il suo ruolo nel delitto. Condannato a 30 anni e 2 mesi di reclusione nel 1992, Pietro Maso oggi è libero e ha deciso di tornare sulla questione, forse per un’ultima volta. Ospite della trasmissione Rai “Cronache Criminali”, ha dichiarato:

Mi sarebbe piaciuto prendere le mani di mio papà e dire ‘ti voglio bene’, o quelle di mia mamma, però non ci sono mai riuscito. Ed è una cosa per cui oggi soffro. E mi manca la possibilità di dire ai miei genitori che ho bisogno di loro. Perché la vita è difficile e avrei bisogno anche io di essere confortato e di dare i miei valori, i miei sentimenti, le mie emozioni ai miei genitori. Umanamente mi mancano, perché vorrei il contatto fisico, però spiritualmente mi sono vicini e questo è già molto per me.

L’uomo, che di professione ora fa il giardiniere, aiuta i carcerati a reinserirsi nella società e vorrebbe essere ricordato per la sua nuova vita, ma per tanti resterà sempre il ragazzo di 19 anni che, in una sera di primavera qualsiasi, mise fine alla vita di coloro che l’avevano messo al mondo. Per questo ha deciso di ritirarsi dalla scena, chiedendo di essere lasciato in pace: il suo desiderio ora è quello di poter aiutare gli altri, come la fede ha fatto con lui negli anni della detenzione.