Immagini del tempo, un po’ riflesse ed un po’ sbiadite. Il vecchio Berlusconi guarda indietro, scruta il sé stesso più giovane, ma la riproposizione che vede è più di forma che di sostanza. L’aspetto è diverso ma il parlato è simile. Intriso di antipolitica quando la politica non era, ancora, nei suoi progetti. O forse sì.

A riportare un Berlusconi 45enne è una vecchia clip, rimasta sepolta per anni, mandata in onda dalla televisione svizzera italiana. Nello specifico stiamo parlando della trasmissione, condotta da Lorenzo Buccella, ‘Cliché’. Trattasi di un passaggio di Milano su Misura, un documentario del 1981. Sono gli anni in cui il Cavaliere sta lavarando a Mediaset: il nuovo gruppo televisivo che vuole sfidare la televisione di Stato, la Rai. E vuole farlo attraverso un modus operandi tutto nuovo: niente canone ma più pubblicità. Ma anche attraverso un diverso: basta con l’ansia del servizio pubblico e braccia aperte ad una televisione generalista. Dall’approccio americano quindi più propensa alla spettacolarizzazione e alla ricerca dell’audience. Più scandalosa, più piacente, più mimetica della società civile e dell’uomo – ma anche della donna – comune. Una televisione che ci ricorda i vizzi ed i vezzi dell’Italia. Una televisione qualunquista.

Se cade il governo, brindo

Non a caso qualunquista è una delle parole principali del piccolo speech berlusconiano riportato dallo scampolo proposto da Cliché. Berlusconi è un milanese che elogia Milano e denigra Roma. Un imprenditore che vede il potere politico come un giogo. È lui in persona a dirlo su sollecitazione dell’intervistatore:

A Milano nasce tutto quello che è importante e succedono tutte le cose più importante. A Milano ci sono i giornali che fanno opinione ed i grandi gruppi editoriali. A Milano c’è la grande industria e la grande finanza. Roma è un centro politico, e niente altro però. Se la politica pesa in modo condizionante? Ahimè, sì. Io sono un qualunquista da questo punto di vista, perché quando tutti sono preoccupati per un crisi di governo io no. Quando gli amici, magari da New York, mi chiamano per dirmi che non c’è più il governo io dico loro: ‘Guarda che sto brinando a champagne. Mi auguro che non ci sia per molto tempo’.

Berlusconi: dall’antipolitica all’antipolitica

La retorica antiromana ricorda quella di Umberto Bossi, il fugace partner di quello che è stato il suo primo governo nel 1994. Già perché Berlusconi, nonostante ce l’avesse con la politica, l’ha poi inseguita per farla sua. Quel sentimento antipolitico, che si evince dalle sue parole, è stato poi il sentimento che ha animato la sua azione politica in lungo ed in largo.

Per antipolitica intendiamo quell’atteggiamento, per lo più comunicativo, di chi attacca l’establishment e la classe politica di incapacità o impreparazione. Oppure, nella salsa populistica, di muoversi in azione contraria e dannosa a quelli che sono gli interessi del popolo. Ma l’antipolitica è un buff perché, alla fine, non è che un altro modo di fare politica. Ma è pur sempre politica. Lo vediamo bene in questi anni di campagna elettorale permanente dove, in campagna o al governo, poco cambia: c’è sempre un nemico politico da sconfiggere per abbuonarsi questo o quell’elettorato.

L’antipolitica di Berusconi è stata quella contro i politici di professione da cui voleva distinguersi con la sue elezione nel 1994. Quella di colui che scende in campo, per il paese che ama, per il bene della cosa pubblica, per trascinare il suo popolo verso un nuovo miracolo (italiano). L’antipolitica è contro i comunisti, poi contro l’Eruopa, poi contro il Movimento 5 Stelle. Ma l’antipolitica di Berlusconi è anche quella dell’imprenditore che, da Milano, attaccava Roma e quindi il centro politico del paese reo di elargire pesi più che occasioni. Insomma, il Berlusconi del 1981 che ci ha mostrato la RSI svizzera è un personaggio ante litteram. Diverso nella forma del politico di professione poi divenuto – quell’etichetta che detestava – meno nella sostanza.