Da un lato l’opera di beneficenza di Jeff Bezos, dall’altro chi i soldi erogati da Amazon rischia di non trovarli più. Si allunga la lista di aziende che hanno in programma licenziamenti di massa nel loro piano strategico e la causa addotta è sempre la stessa: la necessità di ridurre i costi in una prospettiva di futura recessione.

L’indiscrezione è riportata dal New York Times e segue le analoghe breaking news riguardanti Meta e Twitter.

Licenziamenti Amazon, le cifre del 2022

10mila lavoratori Amazon a rischio secondo il programma di licenziamenti che fonti interne hanno condiviso con il New York Times, autore dell’indiscrezione. Il dossier è abbastanza dettagliato e specifica anche quali siano le aree maggiormente colpite dai tagli: organizzazione dei dispositivi vocali di Amazon (Alexa ed Echo), vendita al dettaglio e risorse umane.

Se tutto ciò dovesse verificarsi (e la sua attuazione potrebbe scattare già in settimana) si tratterebbe dal più grande riassortimento della forza lavoro nella storia di Amazon. In termini percentuali il valore assume una proporzione assai diversa, in quanto rappresenta il 3% dei dipendenti aziendali e lo 0,8% della forza lavoro in tutto il mondo.

Secondo gli esperti la scelta promossa da Bezos è abbastanza inusuale da un punto di vista temporale, considerando che il Black Friday è alle porte e il Natale incombe: due momenti tradizionalmente devoti allo shopping online e dunque profittevoli per il bilancio. Difficile comunque credere che Amazon possa trovarsi in crisi per gestire il volume di consegne dettata dalla domanda, anche se qualcuno ha notato che negli ultimi tempi la puntualità e la rapidità hanno mostrato segni di cedimento.

E, come spesso accade, c’è chi accusa Amazon di essere ingrassata alle spalle dei lavoratori prima di scaricarli. Il riferimento è al biennio della pandemia da covid-19, che ha registrato i dati più positivi nella storia dell’azienda americana. Ma il rimbalzo nel 2022 è stato pesante, pur se preventivabile, al punto che si è passati dalle stelle alle stalle: l’anno attuale ha infatti registrato il tasso di decrescita più alto degli ultimi 20 anni, impedendo dunque alla compagnia di ripagare gli investimenti portati avanti negli scorsi mesi per sostenere i maggiori servizi lato aziendale. I cambiamenti nelle abitudini dei consumatori e l’inflazione hanno fatto il resto.