Si è concluso con l’esecuzione di un manichino di Giorgia Meloni sotto le Due Torri, il corteo organizzato nella giornata di ieri dal collettivo Cua e dal Laboratorio Cybilla a Bologna per protestare contro le misure adottate dal nuovo Governo: non solo il decreto anti-rave, considerato un attacco alla libertà mascherato da norma sicuritaria, ma anche il ridimensionamento del reddito di cittadinanza, tra le altre cose. “Resisteremo sempre contro figure autoritarie che agiscono per una chiara cementificazione di patriarcato, classismo e razzismo. I nostri corpi sono schierati qui oggi per lanciare un segnale ben preciso: non è questo il progresso che vogliamo, non è questa la rappresentanza femminile che vogliamo e, soprattutto, non è un’oppressione camuffata da libertà e tutela quello che vogliamo ottenere”. Queste le rivendicazioni dei manifestanti, che hanno poi appeso a testa giù un fantoccio con le sembianze della premier, in tenuta militare, a richiamare l’esposizione del corpo di Benito Mussolini a Piazzale Loreto nell’aprile del 1945, scatenando le polemiche, sia a destra che a sinistra. Per la maggior parte si tratterebbe di un gesto “violento”, “anti-democratico” e istigatore di odio, che nulla ha a che vedere con la dialettica politica.
Manichino di Giorgia Meloni appeso testa in giù: le polemiche
Un gesto, quello dell'”esecuzione in pubblica piazza” del manichino, che non è piaciuto a molti. “La nostra città ieri è stata vittima di un gesto di violenza inaccettabile – ha dichiarato il Sindaco, Matteo Lepore -. Come primo cittadino di Bologna non solo condanno con fermezza, ma chiedo che i responsabili vengano identificati e che provvedimenti seri siano assunti dalle autorità competenti. Non ci può essere tolleranza, né comprensione”. Secondo Lepore, esponente del Pd, “manifestazioni di questo tipo nulla hanno a che fare con la dialettica democratica. Al contrario, la violenza politica è la morte della democrazia”. Per questo il suo appello è quello di “isolare i violenti, di non offrire alcuna sponda di comprensione o legittimazione. Perché alle questioni sociali si risponde con la politica che si rimbocca le maniche, non invece con la stupidità egoista e inconcludente di che soffia sul fuoco per cercare di esistere”, ha proseguito il primo cittadino, esprimendo la sua solidarietà a Giorgia Meloni e invitandola a visitare la città.
Un episodio che per il prefetto di Bologna, Attilio Visconti, “va contro ogni logica democratica e politica, che invece deve basarsi sul confronto e sulla dialettica” e avvenuto in quella che, secondo lui, è “la città più civile e aperta d’Italia”. Tra gli altri, ad unirsi alla condanna sui social, sono stati nelle scorse ore anche Federica Mazzoni, segretario del Pd di Bologna, che ha espresso la sua solidarietà alla Meloni “pur essendo e restando lontanissima dalle sue posizioni politiche” e il presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli, quota Fdl, che ha scritto su Twitter: “È molto grave l’episodio avvenuto a Bologna nei confronti del presidente Giorgia Meloni. La condanna per questo atto intimidatorio sia unanime: il confronto democratico non può sfociare mai nella violenza”. Ma anche Mariastella Gelmini, vicesegretario nazionale e portavoce di Azione, che ha parlato dell’inaccettabilità di “violenza, odio e minacce”; Debora Serracchiani, capogruppo del Pd alla Camera, che ha affermato che “la democrazia è confronto, anche scontro, ma mai minaccia” e Mara Carfagna, deputata di Azione, che ha dichiarato: “Manifestare il dissenso politico è sempre lecito, farlo inneggiando alla violenza non è degno di un grande Paese come l’Italia”.
Non sono arrivati commenti, invece, da parte della diretta interessata, impegnata questa mattina nella conferenza stampa di presentazione delle nuove misure previste dal decreto Aiuti quater approvato dal Cdm proprio nella giornata di ieri.