Passi in avanti per la fecondazione assistita in Italia. È salito a quota 46 anni il limite d’età per l’accesso alla procreazione medicalmente assistita con donazione di gameti femminili nel Lazio. Lo ha stabilito un emendamento al collegato di bilancio, approvato ieri dal consiglio regionale.

Grazie a un mio emendamento, nel Lazio abbiamo innalzato l’età massima per le donne nell’accesso alla procreazione medicalmente assistita nelle strutture pubbliche – ha fatto sapere in una nota Eleonora Mattia, presidente della IX commissione Lavoro -. Una norma che oltre ad adeguare la normativa regionale agli indirizzi nazionali, tutela i diritti delle donne e del loro desiderio di maternità tenendo conto dei tempi di vita che cambiano e che portano sempre più a procrastinare la scelta di fare un figlio, talvolta fin quando si rivela biologicamente tardi.

La nuova norma, che porta da 43 a 46 il limite d’età, si uniforma così all’orientamento espresso dalla Conferenza delle Regioni nel settembre 2014. E, come ha spiegato Mattia, “tutela il principio di uguaglianza nell’accesso alle cure, rimuove ostacoli alla piena realizzazione della persona, mettendo un freno agli inaccettabili ‘viaggi’ fuori Regione o semplicemente verso strutture private, nel segno del rispetto della consapevolezza e della libera scelta delle donne e delle famiglie”. Secondo gli ultimi dati diramati dal Ministero della Salute, sono più di 14mila i bambini nati nel 2019 grazie alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, con mamme la cui età continua a crescere. Un numero di nascite che avrebbe potuto essere maggiore, se fosse più facile poter usufruire di queste tecniche.

Fecondazione assistita in Italia: per la Sifes-Mr è uno strumento da usare per uscire dall’inverno demografico

A lanciare un appello al nuovo Governo Meloni affinché i servizi di procreazione medicalmente assistita (Pma) vengano utilizzati dal Paese per uscire dall’inverno demografico – termine con cui in sociologia si indica l’aumento dell’età media della popolazione -, è stata la Società italiana di Fertilità e Sterilità-Medicina della riproduzione (Sifes-MR), riunita nel suo congresso annuale a Roma da oggi. Un problema, quello della scarsa natalità, che ha risentito anche degli effetti della pandemia da Covid-19, soprattutto per le coppie infertili, che sono in Italia circa il 15-20% del totale: nel 2021 nel nostro Paese le nascite sono state meno di 400mila. Ma il segnale di un grave calo demografico prosegue da tempo: alle nascite in continua discesa (presto toccheranno il record negativo di 350 mila, secondo l’Istat) corrispondono circa 800mila morti l’anno. I bambini venuti alla luce con Pma sono, di contro – se si escludono il 2019 e il 2020 – in continua crescita, spesso perché la decisione di fare un figlio arriva più tardi.

La grande incertezza sociale legata a questo delicatissimo periodo storico – sottolinea il presidente Sifes-Mr, Filippo Maria Ubaldi –  è uno dei motivi per cui in Italia le coppie cercano una gravidanza sempre più tardi: dal 2010 a oggi l’età media al parto delle donne italiane è salita da 31,1 a oltre 33 anni ed è stato costante anche l’aumento dell’età della donna all’inizio della ricerca di un figlio. È proprio l’età materna avanzata la principale causa di infertilità. Quando la necessità è quella di cercare una gravidanza più sicura e più rapidamente, perché l’età avanza e i tentativi spontanei non raggiungono i risultati sperati, si deve riconoscere l’importante ruolo della Pma, ma soprattutto diffondere la corretta informazione su questo tema e assicurare un corretto ed esteso accesso ai centri specializzati in tutta Italia.

Gli ha fatto eco Luca Mencaglia, coordinatore del Tavolo tecnico per la ricerca e la formazione nella prevenzione e cura dell’infertilità istituito presso il Ministero della Salute e presidente della Fondazione Pma: “l’Italia si trova nella morsa di una drammatica riduzione delle nascite e l’apporto della Pma potrebbe essere molto maggiore se si dedicassero a questa disciplina più fondi. Pur avendo dato vita a un tavolo tecnico ad hoc, che potesse analizzare e risolvere i problemi relativi al mondo della fecondazione assistita e al quale abbiamo partecipato con entusiasmo, e nonostante il Governo precedente abbia stanziato 234 milioni di euro per la tariffazione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) introdotti nel 2017, il Decreto tariffe è rimasto arenato, così come sono ferme le misure che avevamo proposto per facilitare la donazione di gameti anche nel nostro Paese. Occorre un’azione decisa per invertire la rotta e venire incontro alle esigenze delle coppie con problemi di infertilità, costrette ancora oggi a spostarsi in altre Regioni o all’estero per tentare di raggiungere l’obiettivo di avere un figlio“.

In mancanza di interventi mirati, queste coppie – prosegue Mencaglia – “continueranno a essere discriminate in base al luogo dove vivono, e le strutture proseguiranno a erogare servizi a macchia di leopardo, con tutte le disuguaglianze che ne conseguono: una miopia tutta italiana”. Intanto – spiega – “si è arrivati alla definizione di costi ragionevoli per prestazioni anche molto avanzate predisponendo l’introduzione nei Lea di nuove prestazioni con relative tariffe finora completamente ignorate come la diagnosi genetica preimpianto e il congelamento e scongelamento di gameti ed embrioni. L’obiettivo era per tutti quello di ottenere un sistema omogeneo e funzionale anche alla ripresa delle nascite in Italia”. Ma, al momento, secondo lui, “la speranza che qualcosa possa cambiare è sfumata“. Toccherà al Governo prendere delle decisioni al riguardo.