Domande a ruota libera per Paolo Zangrillo, il ministro della Pubblica Amministrazione, intervistato su Rai Radio1 nel programma “Un giorno da pecora”: nonostante l’ampio focus sul proprio settore di competenza, Zangrillo è intervenuto anche sul discusso tema del tetto al contante dove la posizione assunta è diversa rispetto al collega di Forza Italia Giorgio Mulè.
A preciso quesito, il ministro ha infatti ipotizzato un tetto al contante fissato a 5mila euro (attualmente è a 2mila, la proposta è di alzarlo a 10mila). La base di partenza del suo ragionamento è che “do per scontato che gli italiani siano onesti, non dobbiamo penalizzare chi si guadagna onestamente da vivere”.
Tetto al contante, Zangrillo parla anche di smart working
Esaurito il focus sul tetto al contante, il ministro Paolo Zangrillo rientra nei suoi confini legati alla Pubblica Amministrazione e sul nodo smart-working, da lui già sviscerato nelle prime interviste dopo la nomina. Ebbene, il suo assunto parte da un dato numerico: i 5 milioni e mezzo di lavoratori in telelavoro, un dato decuplicato dalla pandemia di coronavirus.
Più che sulla quantità il successore di Brunetta si concentra sulla qualità, confessando che “molte società che hanno adottato il lavoro agile hanno dichiarato aumenti in termini di produttività“. Smart working dunque come “strumento da utilizzare in accoppiata a un approccio diverso rispetto a quello tradizionale”.
Il nuovo paradigma esula dunque dalle tradizionali gerarchie capo-dipendente ma responsabilizza quest’ultimo, il quale deve bilanciare la maggiore “libertà” di gestione dei propri tempi e spazi con il raggiungimento di determinati obiettivi. Il risultato sono costi minori (o comunque sovrapponibili) e niente più orari fissi da rispettare. Il segreto, secondo Zangrillo, risiede quindi nel creare “le condizioni affinché una persona si trovi in un contesto dove possa sentirsi a proprio agio”.
Infine, l’ultimo passaggio si è concentrato in maniera ironica sul luogo comune che vede i dipendenti pubblici spesso travestirsi da “furbetti”. Qui il ministro rivendica la piaga che “i fannulloni siano dappertutto, nel pubblico e nel privato“. Serve cambiare l’immagine diffusa di una PA poco stimolante e appassionante, e qui la responsabilità non può ricadere sui dipendenti.