Che cos’è lo schiaffo del turbante: secondo il canale televisivo in lingua persiana, con sede a Londra, Iran International, si tratta di una forma pacifica e ironica di una protesta che sta facendo centinaia di morti come viene riferito anche dalle organizzazioni umanitarie che stanno in tutti i modi cercando di lavorare per diffondere notizie di ciò che sta accadendo nella repubblica islamica.

In Iran infatti proseguono le proteste anti-hijab, il velo che copre il capo di chi lo indossa e stanno diventando sempre più virali alcuni video nei quali si vedono dei giovani oppositori al regime di Teheran che affiancano per la strada alcuni religiosi facendo cadere a terra i loro turbanti.

Su molti social sono stati infatti diffusi filmati che mostrano giovani attivisti attuare “lo schiaffo del turbante”, nei quali si vedono ragazzi avvicinarsi senza essere visti a uomini vestiti con l’abito religioso tradizionale islamico per poi dare un colpo con la mano al loro turbante facendolo cadere per terra.

Questa azione, è appunto un gesto non violento e dal valore simbolico che però rischia di far perdere la vita a tantissimi giovani e che si inscrive a pieno nelle proteste contro la teocrazia che domina il Paese con il pugno di ferro.

La paura di essere “avvicinati in pubblico ha costretto alcuni religiosi a evitare di indossare turbanti e mantelli per le strade”, riporta il Daily Telegraph.

Questo gesto di ribellione non violento è scaturito dall’omicidio della 22enne Mahsa Amini, morta dopo essere stata arrestata dalla “polizia della moralità” il 16 Settembre scorso proprio per non aver indossato correttamente l’hijab.

Ora la morte di Mahsa ha provocato la più grande ondata di dissenso contro i rigidi codici di abbigliamento in atto dalla rivoluzione islamica del 1979. Da quando sono iniziate le proteste, secondo la Ong con sede ad Oslo “Iran Human Rights” sono morte almeno 277 persone, tra cui 40 minori e 24 donne.

Che cos’è lo schiaffo del turbante: le proteste nel paese

Secondo i media dissidenti iraniani con sede all’estero, alcune dimostrazioni si sono tenute nella facoltà di architettura dell’università Pars di Teheran e anche in un ateneo di Saqqez, la città di cui Mahsa Amini era originaria, nella provincia del Kurdistan iraniano.

Folle anche ad Arak e Isfahan, mentre a Karaj, gli scontri hanno portato alla morte di un paramilitare e alcuni giovani come segno di protesta dopo “lo schiaffo del turbante” tolto dal capo di un religioso lo hanno bruciato in strada.

Secondo la Ong Hrana, gli arrestati fino ad ora sono oltre 14 mila. Tra loro ci sono avvocati e giornalisti ma anche artisti, come il rapper Toomaj Salehi che aveva espresso sostegno per le proteste.

Fermato il 30 Ottobre scorso, l’artista è stato trasferito da un penitenziario di Isfahan nel famigerato carcere di Evin a Teheran, noto come la prigione dei dissidenti, dove sarebbe in custodia anche Alessia Piperno, la trentenne italiana che si trovava in Iran quando sono esplose le proteste ed è stata detenuta pochi giorni dopo l’inizio delle dimostrazioni.

Toomaj Salehi “si trova in custodia di funzionari dell’intelligence, non gli è permesso di fare chiamate o ricevere visite” e sarebbe stato picchiato al momento dell’arresto, ha dichiarato lo zio del musicista a IranWire, sostenendo che è stato prelevato in casa da militari in borghese e non è stato arrestato mentre tentava di lasciare il Paese, come era stato affermato in un primo momento dalle autorità.

Il cantante era già stato arrestato nel 2021 per “propaganda”, a causa di canzoni critiche verso il regime degli ayatollah, e rilasciato su cauzione, mentre dopo l’inizio delle recenti proteste aveva espresso solidarietà ai dimostranti attraverso la sua musica e in un’intervista al servizio pubblico canadese Cbc.