Negli ultimi tempi, i numerosi casi di intossicazione alimentare connessi alla Listeria hanno fatto scattare l’allarme in tutta Italia, ecco quali sono i cibi da evitare.

Durante i giorni scorsi, i Nas hanno effettuato diversi controlli e hanno scoperto 14 tonnellate di alimenti irregolari.

Sono oltre 23, le imprese produttive e commerciali sottoposte alla chiusura o alla sospensione delle attività, ma anche molte altre aziende sono state sanzionate per irregolarità.

I casi di listeriosi verificatisi di recente, sarebbero da ricondurre ad alcuni alimenti, conservati, o anche, consumati in maniera errata.

Più specificamente, il batterio Listeria, diffuso ampiamente nell’ambiente, si trova principalmente nel terreno, nelle acque di superficie e nel materiale fecale.

Ecco quali sono gli alimenti a cui prestare maggiore attenzione.

Listeria, cibi da evitare e soggetti più a rischio

In particolare, i cibi da evitare per non incorrere in infezioni da Listeria possono essere genericamente ricondotti ad alimenti crudi o a ridotta cottura, come ad esempio i würstel o altri insaccati con stagionatura breve e prodotti similari, prodotti lattiero-caseari a limitata maturazione, ma anche prodotti di gastronomia con farcitura fresca come, ad esempio, tramezzini.

Come precisato dall’Istituto Superiore di Sanità, i principali alimenti associati ai recenti casi di intossicazione da Listeria, comprendono pesce affumicato, in particolare il salmone, prodotti a base di carne, tra i quali paté di carne, hot dog e carni fredde tipiche delle gastronomie, formaggi a pasta molle, formaggi erborinati, formaggi poco stagionati, vegetali preconfezionati e latte non pastorizzato.

L’infezione, viene favorita dalla capacità della Listeria monocytogenes, di svilupparsi e sopravvivere alle abituali temperature dei frigoriferi.

I sintomi associati alla listeriosi possono variare da un soggetto all’altro, passando dalla gastroenterite acuta febbrile, tipica delle intossicazioni alimentari, a quella invasiva o sistemica, che si manifesta nei casi più gravi e può portare all’insorgenza di meningiti, encefaliti e gravi setticemie.

Antonello Paparella, docente di Microbiologia alimentare all’Università di Teramo, ha precisato in merito:

“La Listeria monocytogenes, oltre che nei prodotti di origine animale è sempre più presente nel cibo di origine vegetale, anche se non ha un ruolo significativo nella maggior parte degli ortaggi freschi, come invece viene indicato erroneamente da alcune fonti.

Questo perché la vita commerciale degli ortaggi freschi è breve, e quindi la Listeria in genere non riesce a moltiplicarsi al punto da raggiungere la dose infettante.

L’altro elemento da considerare è che il batterio, pur potendosi sviluppare a temperatura di refrigerazione, cresce lentamente, e per questo gli alimenti con shelf-life, vita di scaffale, inferiore a 5 giorni non sono considerati a rischio. Se la catena del freddo è rispettata, anche il pesce fresco e il sushi, contaminati accidentalmente da Listeria monocytogenes, non rappresentano un rischio significativo, perché il batterio in pochi giorni non riesce a raggiungere la dose infettante considerata a rischio”.

L’Istituto Superiore di Sanità, monitora costantemente l’evolversi della situazione in Italia e ha recentemente aggiornato anche i consigli da seguire in cucina per limitare i casi di listeriosi visto il costante incremento di casi.

Inoltre, l’Istituto sconsiglia di consumare gli alimenti a rischio sia alle donne in gravidanza che ai soggetti immunodepressi e agli anziani.

Il batterio, infatti, può provocare infezioni potenzialmente letali, con un tasso di mortalità che oscilla tra il 20 e il 30%.

Perché la Listeria è pericolosa

L’Istituto Superiore di Sanità, ISS, ha spiegato nel dettaglio, quali sono le caratteristiche del batterio e perché rappresenta un pericolo per la salute:

“Listeria monocytogenes è un batterio patogeno Gram-positivo, non sporigeno e mobile, ubiquitario, ampiamente diffuso nell’ambiente, nel suolo, nell’acqua e nella vegetazione.

La sua capacità di crescere e riprodursi a temperature molto variabili (da temperature di refrigerazione sino a 45°C), nonché la sua capacità di tollerare ambienti salati e pH acidi lo rendono un batterio molto resistente a varie condizioni ambientali, incluse quelle che si hanno nella produzione e nella lavorazione degli alimenti.

In condizioni favorevoli può crescere nell’alimento contaminato fino a raggiungere concentrazioni tali da causare un’infezione nell’uomo.

Per queste sue caratteristiche, L. monocytogenes rappresenta un pericolo per i prodotti pronti al consumo (chiamati ready-to-eat, RTE) e i prodotti con una lunga vita commerciale (shelf-life) mantenuti a temperature di refrigerazione”.