Re Bibì è tornato: a poco più di un anno dall’arrivo del potere di quel ‘governo del cambiamento’ targato Bennett-Lapid che aveva messo fine al suo regno incontrastato di 12 anni, Benjamin Netanyahu punta di nuovo a guidare Israele. Secondo gli exit poll, il blocco che fa capo al leader del Likud avrebbe conquistato la maggioranza per un soffio, 61-62 seggi, contro i 54-55 del governo uscente del premier Yair Lapid.
Nonostante siano state le quinte elezioni nel giro di tre anni e mezzo, l’affluenza è stata da record: alle 20 era del 66,3%, il dato più alto dal 1999. Anche la partecipazione dell’elettorato arabo, prevista molto bassa, ha avuto un’impennata nelle ultime ore prima della chiusura dei seggi.
Elezioni in Israele. Attesa per i risultati definitivi
Ci vorrà del tempo per avere i risultati definitivi – “l’esito cambierà entro domani mattina”, ha commentato il partito Yesh Atid del premier – e lo scenario puo’ ancora cambiare, in particolare se torneranno in gioco i due partiti che secondo le proiezioni non sono riusciti a superare la soglia di sbarramento del 3,25%: Focolare ebraico di Ayelet Shaked e il partito arabo-israeliano Balad.
Quest’ultimo, in particolare, sarebbe molto vicino alla meta e già dal Likud sono partiti attacchi su presunte “frodi” per “falsificare con violenza il risultato elettorale”.
Accuse respinte dalla Commissione elettorale centrale secondo cui “il conteggio è appena iniziato”, quindi “non c’è assolutamente alcuna base per queste voci infondate”. Se Balad dovesse passare, il blocco del leader dell’opposizione scenderebbe a 60, un seggio sotto la maggioranza.
Esulta Sionismo Religioso: come atteso, l’alleanza di estrema destra tra il partito di Bezalel Smotrich e Otzma Yehudit di Itamar Ben Gvir ha compiuto un ulteriore, grosso, balzo in avanti e viene dato a 14-15 seggi, oltre il doppio rispetto alle precedenti elezioni nel 2021 quando ottenne 6 seggi. “Abbiamo fatto la storia“, ha esultato Smotrich, sottolineando la “vittoria” del partito.
Vittoria ad un passo, ma occhio al governo
La popolarità di Ben Gvir, incendiario provocatore e noto avvocato di estremisti ebrei accusati di crimini d’odio, aveva suscitato prima delle elezioni più di qualche inquietudine, non solo in patria, ma anche nel Golfo e negli Usa. Lui non ha mai fatto mistero delle sue mire e già in campagna elettorale aveva reclamato per sè il posto da ministro per la Pubblica Sicurezza.
Tira – per ora – un sospiro di sollievo la sinistra radicale di Meretz, fino all’ultimo data in bilico da tutti i sondaggi, che riuscirebbe invece a passare lo sbarramento e a conquistare i 4 seggi della sopravvivenza. Via libera anche per i laburisti di Merav Michaeli, per il partito islamista Ràam di Mansour Abbas così come per l’unione arabo-israeliana Hadash-Tàal.
In attesa di avere un quadro certo, il partito di Lapid ha già detto chiaramente che non intende far parte di un governo guidato dal leader del Likud, sotto processo per corruzione, frode e abuso d’ufficio: “Non è affatto sicuro che Netanyahu formerà il prossimo governo. Tuttavia, non ci siederemo con lui”.
Quest’ultimo per ora si è limitato a parlare di “un buon inizio” ma aspetta a esultare. Intanto, ha cominciato il giro di telefonata con gli alleati del blocco nazional-religioso (oltre a Likud e Sionismo Religioso, ci sono i due partiti ultra-ortodossi Shas e United Toraj Judaism) in vista di futuri negoziati per formare un governo.