Che cos’è la riforma Cartabia? Approvata dal Senato lo scorso giugno con 173 voti favorevoli e 37 contrari, si tratta di una di legge voluta dall’ex ministro della Giustizia Marta Cartabia durante il Governo Draghi. Una misura approvata dal vecchio esecutivo nell’ambito di un più ampio intervento sul penale concordato con l’Europa nel contesto del Pnrr e destinata ad entrare in vigore da oggi, ma la cui attuazione è stata rinviata al 30 dicembre dal primo decreto legge sui temi della giustizia emanato dal Consiglio dei ministri del Governo Meloni, che ha toccato anche l’ergastolo ostativo, alla vigilia della pronuncia della Corte Costituzionale in agenda per l’8 novembre.

Il rinvio dell’entrata in vigore si pone come passaggio necessario alla definizione della disciplina transitoria e – questione di non minore rilievo – al riassetto organizzativo degli uffici giudiziari, ha spiegato il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Santalucia.

Ma vediamo di cosa si tratta.

Che cos’è la riforma Cartabia e cosa cambia nella giustizia penale?

L’obiettivo che si è prefissato con il Pnrr in ambito europeo – e nel quale si inserisce la riforma Cartabia – è quello di ridurre la durata media dei processi penali del 25% entro il 2026 per rafforzare il rispetto del diritto delle vittime e degli imputati a una ragionevole durata del processo, una delle previsione dell’articolo 111 della Cosituzione sul “giusto processo”. Nel dettaglio, la riforma tocca poi diversi ambiti: la procedura penale, il sistema sanzionatorio e la giustizia riparativa.

Per quanto riguarda la procedura penale, ad essere modificato è l’intero percorso processuale: dalle indagini preliminari al dibattimento, dai riti alternativi al processo e ai giudizi di impugnazione, finanche all’esecuzione penale. Una delle principali novità è rappresentata dall’implementazione del processo penale telematico, attraverso un più ampio uso della digitalizzazione e delle tecnologie informatiche per tutta la durata del procedimento, ad esempio con notificazioni per via telematica e trasmissione dei fascicoli tra gli uffici giudiziari in forma digitale per accelerare le varie fasi processuali che, allo stato attuale, possono richiedere anche mesi o anni. Nella stessa ottica vengono rivisti i termini di durata massima delle indagini preliminari; ma con la riforma viene anche valorizzato il ruolo deflattivo dei riti alternativi (come i giudizi abbreviati o i patteggiamenti) e si predispongono maggiori filtri per la celebrazione dei processi, tra cui l’impossibilità di ricorso in appello in caso di mancanza di specificità dei motivi.

In merito al sistema sanzionatorio, gli interventi rispondono a un doppio fine: differenziare e rendere più effettive e tempestive le pene ed incentivare la definizione anticipata del procedimento mediante i riti deflattivi. Nel caso di mancato pagamento per motivi di impossibilità, si prevede, ad esempio, la possibilità di convertire la pena pecuniaria in misure limitative della libertà personale, sulla base di quanto già sperimentato altrove in Europa. Ma importante è anche la regolamentazione dei cosiddetti “liberi sospesi”, cioè i condannati a pene inferiori ai 4 anni che entro 30 giorni dall’emissione dell’ordine di carcerazione con contemporanea sospensione possono chiedere di scontare la condanna in modo alternativo al carcere. Attualmente questi ultimi accedono alle misure alternative – come la pena pecuniaria o il lavoro di pubblica utilità – solo dopo anni dal fatto commesso o dalle richieste; l’obiettivo è ridurre i tempi: solo una delle tante norme previste dalla riforma.

Sulla giustizia riparativa, infine, viene fornita per la prima volta una cornice normativa a prassi già diffuse, sulla base della normativa europea e internazionale. In particolare, vengono istituiti, mediante il coinvolgimento degli enti locali, centri per la giustizia riparativa in ogni Corte d’Appello e, nell’interesse delle vittime dei reati, la giustizia riparativa viene accostata (e non sostituita) al processo penale.