Il ministero dell’istruzione, con denominazioni più o meno simili, esiste da sempre ma il governo in carica ha aggiunto una parola, merito, che ha sollevato un dibattito che mi ha fatto tornare in mente un pensiero di Piero Calamandrei. Nel 1950 l’illustre giurista ricordava che l’articolo 34 della Costituzione, “La scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, è il più importante. “La scuola – ricordava – elabora i migliori per la rinnovazione continua, quotidiana della classe dirigente” e va considerata come un organo costituzionale perchè serve a risolvere il problema centrale della democrazia. Secondo Calamandrei “la formazione della classe dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano, che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Nel nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre rinnovata dall’afflusso verso l’alto degli elementi migliori di tutte le classi, di tutte le categorie”.
Il pensiero di Calamandrei e di Recalcati, 72 anni dopo
Per Calamandrei “ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di liberare verso l’alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società”.
Settantadue anni dopo lo stesso pensiero lo ha espresso Massimo Recalcati su La Repubblica quando ha ricordato che “il compito dello Stato non si limita a premiare i capaci e i meritevoli ma anche a ridurre il più possibile quelle condizioni di diseguaglianza che tendono a favorire i soggetti al di là delle loro capacità e del loro merito”. E anche in questo pensiero c’è la Costituzione, l’articolo 34.
Stefano Bisi