Un vicepremier e ministro che si muove come un premier. E da oggi anche un altro ministro, sempre della Lega, che non sembra voler restare sui binari assegnatigli. Che Salvini e la Lega non sarebbero stati alunni disciplinati della premier Meloni, un po’ tutti, tra gli alleati, ne avevano il sospetto. Del resto le prime “avvisaglie” sono giunte ancor prima (ma anche durante) il dibattito sulla fiducia con il numero uno di via Bellerio – chiuso nei suoi uffici – pronto ad intestarsi battaglie che, sulla carta, esulavano dalle proprie competenze ministeriali. Ma prontamente rese pubbliche sui social. “Proposte, stimoli, contributi al dibattito”, le motivazioni del suo interventismo su temi come l’economia (fisco e flat tax, pensioni e Fornero, tetto del contante) e di sicurezza (immigrazione e gestione porti su tutti). Insomma, più che uno stimolo, soprattutto dalle parti di via della Scrofa, le sovraesposizioni mediatiche di Salvini sono sembrate più che altro una pretesa di dettare l’agenda al governo. A squadra di governo non ancora ultimata, sono molti a gettare acqua sul fuoco e a giurare che non vi è in corso alcun braccio di ferro: “lo scontro esiste solo nei retroscena giornalistici”, tagliano corto sia dalla Lega che da Fratelli d’Italia. Solo gli azzurri – più defilati in questo momento – ironizzano sulla difficile convivenza tra due pesi massimi (“ingombranti” è la definizione poi edulcorata) come Giorgia e Matteo: “non è che l’inizio”, prevede più di un parlamentare.