In gergo si chiama ADHD, il disturbo da deficit di attenzione e iperattività, e interessa circa 6 milioni di bambini e ragazzi (9,8%) in tutto il mondo. Si tratta di un disturbo neuropsichiatrico caratterizzato da una durata scarsa o breve dell’attenzione e da vivacità e impulsività eccessive, che interferiscono con le funzionalità del bambino e del suo sviluppo. Ottobre è il mese europeo della consapevolezza.

Disturbo da deficit di attenzione e iperattività: tutto quello che c’è da sapere

Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività è un disturbo del neurosviluppo e appare solitamente in età precoce, prima dei 7 anni d’età, compromettendo lo sviluppo del funzionamento personale, sociale e scolastico del bambino, che avrà difficoltà con l’acquisizione, il mantenimento o l’applicazione di determinate competenze o informazioni, motivo per cui spesso la diagnosi arriva con l’ingresso nella scuola primaria. Si tratta infatti di un disturbo caratterizzato da disattenzione, iperattività e impulsività e, a seconda che prevalga l’uno o l’altro degli aspetti, si può parlare di diverse varianti:

  • variante con disattenzione predominante
  • variante con iperattività e impulsività predominante
  • variante di tipo combinato (con disattenzione e iperattività)

Le cause che portano alla manifestazione del disturbo non sono univoche, né ancora completamente accertate dai medici, anche se diverse ricerche mostrano una possibile componente genetica. È stata anche avanzata l’ipotesi che possano essere determinati comportamenti delle donne in fase di gravidanza (per esempio l’assunzione di alcol e fumo) ad influire sullo sviluppo del disturbo, così come fattori ambientali: secondo uno studio americano pubblicato sulla rivista Pediatrics, svolta su 2500 bambini, è anche la televisione, quando abusata, ad essere nociva. Dopo la diagnosi, i trattamenti sono in genere di tipo cognitivo-comportamentale e a volte farmacologici. Ma, nonostante si tratti di un disturbo molto diffuso (sono circa 6 milioni i bambini e ragazzi ad esserne affetti in tutto il mondo), ancora pochi lo conoscono appieno.

L’importanza di un mese dedicato alla consapevolezza

“Occorre porre come azione prioritaria la presa in carico del paziente affetto da ADHD, nelle varie fasi di vita, in una logica di continuità tra cure sanitarie e creazione di una rete interdisciplinare che coniughi i bisogni del paziente e della famiglia. Bisogna ragionare sul percorso di vita:  dal periodo scolastico con il supporto di personale di sostegno formato adeguatamente alla fase adolescenziale,  forse la più complessa per evidenza di complicanze o comorbidità legate alla malattia, con l’attivazione di parent training, ideati e realizzati in maniera interdisciplinare ed in aiuto alle famiglie ed ai caregiver. Questi bisogni si evidenziano anche nel periodo adulto dove più forte è la necessità di sviluppare una rete di relazioni”.

Sono le parole di Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale Policlinico Tor Vergata, in occasione di un convegno organizzato con l’Associazione Italiana Famiglie ADHD in occasione dell’ADHDAwarenessMonth 2022, il mese europeo per la consapevolezza del disturbo, concepito per porre l’attenzione sulla sindrome ed evidenziare l’importanza di una diagnosi precoce che consenta l’avvio di interventi tempestivi, mirati e attentivi per migliorarne le conseguenze a lungo termine, che possono protrarsi fino all’età adulta.

“In Italia la prevalenza media di ADHD nell’adulto si attesta intorno a 2,8% – ha spiegato Alberto Siracusano, Direttore della UOC di Psichiatria del Policlinico Tor Vergata -. Nell’adulto l’ADHD è caratterizzato prevalentemente da sintomi di disattenzione, impulsività e irrequietezza, disregolazione emotiva, con scarsa tolleranza alla frustrazione ed irritabilità. Si assiste a deterioramento nelle funzioni esecutive, in particolare l’inibizione e la working memory. Ciò comporta una compromissione del funzionamento psichico, relazionale, lavorativo e sociale. Di notevole importanza è l’attività ambulatoriale di transizione del paziente dall’età evolutiva all’età adulta, sia per favorire la prevenzione, sia per garantire la continuità terapeutica”.