Elnaz Rekabi ha fatto ritorno a casa. Dopo aver gareggiato senza hijab ai Campionati asiatici in Corea del Sud, la campionessa di arrampicata iraniana è atterrata all’aeroporto di Teheran tra gli applausi di chi ha ritenuto il suo gesto come coraggioso ed eroico.
Eppure lei ha assicurato che il velo le sarebbe caduto “inavvertitamente” poco prima di gareggiare. Rekabi si è scusata per “aver fatto preoccupare tutti” e ha annunciato il suo rientro a Teheran, come da programma, insieme alle compagne di squadra.
Dopo l’episodio, non si erano avute più notizie dell’atleta per diverse ore. Il timore, incoraggiato da diversi giornali, era che fosse stata punita per un gesto ritenuto provocatorio nei confronti delle autorità. Rekabi tuttavia aveva chiesto scusa attraverso un post su Instagram datato martedì 18 ottobre, spiegando di non aver indossato il velo perché non si era accorta che il suo turno di scalata fosse arrivato e lei non era ancora pronta. Una giustificazione ripetuta anche al momento dell’arrivo a Teheran, che però potrebbe non essere veritiera. È infatti possibile che Rekabi sia stata costretta a chiedere scusa per non rischiare il carcere.
Ritorno Elnaz Rekabi, i precedenti delle “dissidenti”
Per le donne iraniane rimane l’obbligo a indossare il velo anche durante le competizioni sportive: Rekabi lo sapeva bene, e per questo in molti in Iran avevano interpretato il suo gesto come un sostegno al movimento di protesta contro il regime, che va avanti ormai da settimane nel Paese. Tutto era cominciato dopo la morte di Mahsa Amini, 22enne curda uccisa dopo essere stata arrestata dalle forze dell’ordine per non aver indossato correttamente il velo. Prima di Rekabi un’altra donna iraniana era apparsa in una competizione senza velo: si tratta della pugile Sadaf Khadem, che nel 2019 scese sul ring senza hijab in Francia. Da allora non è mai più tornata nel suo Paese e oggi vive in esilio: su di lei e il suo allenatore pendono perché lei e il suo allenatore hanno avuto due mandati d’arresto in Iran.
Sulla vicenda si è anche espressa la portavoce dell’Ufficio dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani, Ravina Shamdasani,
Le donne non dovrebbero mai essere perseguite per ciò che indossano e non dovrebbero mai essere sottoposte a violazioni come la detenzione arbitraria o altre violenze per come sono vestite.