Connessi sì ma dai borghi dove la vita ha ritmi più umani, dove la sera è possibile ammirare il cielo stellato senza l’inquinamento della luce artificiale. Ma se non ci fossero connessioni veloci non sarebbe possibile lavorare all’ombra di una quercia e dialogare con Roma e New York. Insomma, la ricetta è l’armonia tra modernità e benessere fisico e spirituale che si può trovare anche andando alle radici delle trasformazioni. Girovagando per musei della civiltà contadina ho ritrovato un vecchio strumento di lavoro, l’aratro, utilizzato ora da una banca della campagna toscana, la Popolare di Lajatico, per il proprio marchio. L’aratro è quello strumento per rivoltare la terra, per aprirla alla fecondazione e rappresenta la continuità, l’unicità tra oggetto, animale, uomo. Il bue che trascina l’aratro con fatica, l’uomo che lo guida con destrezza e precisione, che lo preme con vigore nel terreno e il vomere d’acciaio penetra nel profondo della terra. L’aratro è indice di potenza, di forza, di pazienza, di caparbietà, di fiducia del futuro perché prepara la terra che aspetta l’acqua, il sole e la cura dell’uomo per il seme.

L’aratro è memoria. Ma il mondo è in evoluzione, cambia, si trasforma. 

L’armonia tra la modernità e le radici della nostra civiltà 

L’aratro, così come lo abbiamo conosciuto, non c’è più. La banca popolare ha elaborato un’efficace sintesi di tradizione e innovazione: i manici dell’aratro si trasformano in sottili ali sospese nell’aria, il vomere assume la sembianza e la leggerezza del volo di un gabbiano, dalla profonda terra all’azzurro del cielo.

Guardare in alto, volare in alto, volare verso il cielo, con i piedi sulla terra. Connessi sì, ma, quando è possibile, dai borghi dove per le vie si può sentire ancora il profumo del pane appena sfornato e nelle sere d’estate si osserva con stupore la luce delle lucciole.

Stefano Bisi