In Francia una sentenza della Corte europea dei diritti umani ha stabilito che lo Stato dovrà dare una risarcimento di più di 9mila euro Eloise Bouton, una delle militanti “Femen” precedentemente condannata per le sue “prodezze” di protesta in una chiesa di Parigi nel 2013.
In Francia, la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) ha stabilito un risarcimento da parte dello Stato per una militante “Femen” condannata in passato per le sue “prodezze” all’interno di una chiesa.
Con questa sentenza infatti, lo Stato francese dovrà risarcire con 9.800 euro Èloïse Bouton, una delle “Femen” che nel 2013 era entrata nella chiesa della Maddalena nel 9° arrondissement di Parigi a seni nudi, su uno dei quali erano state iscritte le parole “344me salope” (“344ma bagascia”, in riferimento alle 343 donne francesi che nel 1971 avevano firmato un manifesto per la depenalizzazione dell’aborto), mentre sulla schiena si leggevano le parole “Christmas is canceled” (“Natale è annullato”); con un velo azzurro sulla testa e le braccia aperte come sulla croce, aveva mimato la Madonna che abortiva Gesù, aveva lasciato brandelli di fegato di vitello sanguinolenti ai piedi dell’altare e aveva urinato sui gradini dello stesso.
Per queste prodezze la legge francese l’aveva condannata nei tre gradi di giudizio, terminati nel 2017 a 1 mese di prigione con la condizionale e ad una multa di 2 mila euro per “esibizione sessuale”.
Francia risarcimento Femen: nessun reato
Nessuna fattispecie di reato o di illecito è stata quindi riconosciuta nei tribunali francesi per il comportamento offensivo contro il sentimento religioso, o per un attentato alla libertà religiosa dei credenti, nella chiesa infatti, erano presenti alcune persone, compresa una corale che faceva le prove.
La Corte si è appigliata a questo fatto per dichiarare che la pena comminata alla Bouton per “esibizione sessuale” era eccessiva e non teneva conto del suo diritto a manifestare il suo pensiero sul fatto che la Chiesa cattolica condanni l’aborto.
Nel dispositivo della sentenza la Cedu spiega che la giustizia francese aveva pronunciato una “condanna sproporzionata” contro l’attivista delle Femen, dal momento che non aveva considerato la questione della libertà di espressione dell’accusata.
“I tribunali nazionali non hanno trovato l’equilibrio, in maniera adeguata, tra gli interessi in gioco”, ha stimato la Cedu. “L’interferenza con la libertà di espressione della denunciante, sotto forma di una pena detentiva, non era “necessaria in una democrazia” e violerebbe l’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ha aggiunto la Corte.
Secondo la Cedu l’unico obiettivo della Bouton era quello di contribuire al dibattito pubblico sui diritti delle donne, in particolare sul diritto all’aborto.
Libertà di espressione
La Corte ha poi stabilito che la tutela della “libertà di coscienza e di religione” non poteva giustificare tale condanna, perché i tribunali francesi non avevano “indagato se l’azione dell’accusata fosse gratuitamente offensiva” nei confronti delle credenze religiose, “se fosse ingiuriosa o se incitasse alla mancanza di rispetto o all’odio nei confronti della Chiesa cattolica”.
La Corte si è dichiarata “scioccata dalla gravità della sanzione” di un mese di reclusione con sospensione della pena e una multa di 2.000 euro; ha deplorato che questa sentenza fosse stata iscritta nel casellario giudiziario dell’attivista e che la condizionale potesse trasformarsi in una pena detentiva nel caso in cui la donna avesse esercitato nuovamente la sua “libertà di espressione”.
La Cedu è in realtà è recidiva per questo genere di sentenze. Nel 2018 aveva stabilito che la provocazione blasfema del gruppo punk “Pussy riots” nel coro della cattedrale del Salvatore a Mosca era una forma di espressione protetta dalla Corte. Dopo di allora l’avvocato delle “Pussy riots” è diventato giudice della Cedu.
Lo stesso anno la Corte aveva condannato la Lituania per aver sanzionato una pubblicità dissacrante che raffigurava Cristo e la Vergine Maria.