Virgilio: poeta, vate, mago. Sono innumerevoli le leggende sorte attorno alla figura del celebre letterato latino nel corso del tempo, dato che, subito dopo la sua morte, divenne un classico a Roma, per poi essere trasformato dai posteri in un vero e proprio simbolo.
Guida e maestro, Virgilio incarna nell’immaginario comune la millenaria tradizione occidentale e ha contribuito a costruire, con la sua poesia, le radici della letteratura volgare di tutta Europa: dai primissimi romanzi cortesi antichi in lingue d’oil basati sull’Eneide (come il Roman d’Eneas), fino ai riferimenti a tutta la sua produzione nella Divina Commedia di Dante.
Ma, prima di ogni mito, prima di ogni marmorea commemorazione, Publio Virgilio Marone fu un uomo e, qui su tag24, vogliamo ricordare le sue opere immortali e la sua vita, oltra a scoprire alcune delle curiosità che le fonti attribuivano alla sua figura.
Publio Virgilio Marone: la vita e le opere
Publio Virgilio Marone nacque il 15 Ottobre del 70 avanti Cristo a Mantova, più precisamente nel villaggio di Andes, identificato oggi dalla tradizione con il borgo di Pietole. Si conosce la sua data di nascita per un aneddoto curioso: si raccontava, infatti, che avesse vestito per la prima volta la toga virile lo stesso giorno della morte di Lucrezio, il celeberrimo poeta del ‘De rerum natura’. Secondo una leggenda, Virgilio nacque, dopo un sogno curioso della madre, nel quale la donna diceva di aver partorito un ramo d’alloro; si diceva anche che alla sua nascita non avesse pianto e che il suo volto fosse così mite da offrire sicura speranza in un oroscopo felice.
Studiò a Cremona, a Milano e a Roma e frequentò la scuola di oratoria di Epidio per diventare avvocato, ma il suo carattere mite e oltremodo timido non gli concesse neanche di dire una parola al suo primo processo.
Si spostò successivamente a Napoli, nella sua dolce Partenope, dove frequentò la scuola epicurea di Sirone, e conobbe i carissimi Vario e Tucca e Orazio, la metà della sua anima (come avrebbe scritto lo stesso Orazio nelle sue Odi): qui avrebbe passato il resto della sua vita, scrivendo e studiando, circondato dall’affetto dei suoi amici. Si sarebbe raramente spostato nella sua villa sull’Esquilino.
La sua vita fu gravemente segnata dalla confisca delle terre del mantovano per i veterani di guerra, che spesso richiamò nelle sue Bucoliche. Si trattava di dieci componimenti pastorali, dedicati al patrono del tempo, Asinio Pollione, all’amatissimo Cornelio Gallo, ad Ottaviano e ad Alfreno Varo.
Scrisse, poi, le Georgiche per Mecenate, che lo aveva aiutato contro un veterano che gli aveva fatto violenza durante un contraddittorio avvenuto nell’azione giudiziaria per le terre, e le recitò per quattro giorni consecutivi ad Ottaviano, dopo la sua vittoria ad Azio.
Si dedicò, infine, alla sua ultima grande fatica, l’Eneide, cui dedicò undici anni della sua vita, fino alla morte; all’inizio, l’abbozzò in prosa, poi iniziò a scrivere i versi, seguendo la sua ispirazione e senza seguire alcun ordine; Augusto, spesso, provò a sollecitare il mantovano, perché gli facesse leggere qualche parte del suo poema, inviandogli delle lettere supplichevoli o scherzosamente minacciose. Intanto, l’interesse intorno al suo poema crebbe -lo stesso Properzio affermava che qualcosa più grande della stessa Iliade stava per nascere-, tuttavia Virgilio recitò solamente tre dei suoi libri, il secondo, il quarto e il sesto.
Morì all’età di cinquant’anni, il 21 Settembre, a Brindisi, dopo un viaggio in Grecia per dare l’ultima mano al suo poema; nei pochi giorni prima della sua morte pregò i suoi amici di bruciare la sua Eneide, ma, non volendolo fare loro, chiese di avere i suoi scrigni per poter ridurre in cenere lui stesso il suo lavoro incompleto e imperfetto. Il suo desiderio non fu realizzato.
Dopo aver spirato, il suo corpo freddo fu portato a Napoli, nel suo sepolcro; sopra il celeberrimo distico:
”Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc
Parthenope; cecini pascua, rura, duces. ”” Mi generò Mantova, mi strappò alla vita il Salento, ora mi
accoglie Napoli; ho cantato di pascoli, di campi, di condottieri.”
Le curiosità: l’uomo dietro al mito
Vogliamo riportare alcune curiosità contenute all’interno della Vita che Svetonio gli dedicò all’interno del suo De Poetis, oltre ad alcune notizie che sembrano trapelare dai versi oraziani: ricostruire la figura di un personaggio storico sulla base delle nozioni contenute nelle biografie antiche è un’operazione complessa, che va senz’altro valutata sulla base dell’attendibilità stessa delle fonti.
Nonostante questo, vogliamo mostrare quanto di questa figura tanto importante della letteratura di tutti i tempi sia rimasto nelle opere del passato.
- Era alto, di colore scuro e di salute malferma; soffriva di tubercolosi, di dolori di stomaco, di gola e al capo, oltre a sputare spesso sangue. Era, inoltre, assai parco nel mangiare e nel bere, estremamente pudico ed onesto, motivo per il quale gli fu attribuito il soprannome di Parthenias, ovvero di verginella.
- Amò gli uomini. La seconda bucolica è incentrata sull’amore che il poeta provava per il giovane Alessi, il cui vero nome era Alessandro.
- Quelle rarissime volte che si faceva vedere in pubblico, si rifugiava nella casa più vicina, per sfuggire alle persone che lo indicavano.
- Era un uomo estremamente sensibile, come Orazio, nelle sue Odi lo descriveva con dolcezza, mentre piangeva la morte dell’amico Quintilio.
- Si diceva declamasse con soavità e seduzione mirabile, tanto che Giulio Montano, un altro poeta latino, soleva dire che avrebbe rubato dei versi a Virgilio, solo se gli avesse potuto prendere anche la voce: gli stessi versi, infatti, suonavano bene pronunciati dalle sue labbra ed erano muti e vuoti senza il suono del suo canto.
- Se tanto era morbido nel canto, pareva che la declamazione non fosse il suo forte: Melisso tramandava, infatti, che fosse così lento nella parola da sembrare un ignorante.
- Quando scriveva le Georgiche, si diceva che fosse sua abitudine dettare ai suoi schiavi ogni giorno un gran numero di versi composti durante il mattino, che passava il resto della giornata a ridurre fino ad ottenerne un numero esiguo.
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