Unabomber Italia e America: arriva stasera in prima serata su Rai 2, alle 21.20, il documentario “Un nome con due volti”, che ricostruisce la storia dei due criminali. Da Theodore Kaczynski, l’uomo che negli Stati Uniti è famoso nelle pagine di cronaca per aver compiuto diversi attentati inviando pacchi postali esplosivi e provocando tre morti e 23 feriti, all’Unabomber italiano, il criminale che tra gli anni Novanta e Duemila emulò in Veneto e in Friuli le azioni di Kaczynski e mai identificato.
Unabomber, storia di un criminale
Si chiama Theodore Kaczynski, l’uomo passato alla storia con il nome di “Unabomber” (University and Airline Bomber): il criminale che mandava pacchi bomba in nome di una personale guerra contro la tecnologia.
Nato nel 1942 a Chicago da una famiglia di origini polacche, fin da piccolo Theodore mostra un’intelligenza fuori dal comune, tanto che gli viene permesso di saltare alcuni anni di scuola. Ma negli ambienti scolastici è anche vittima di bullismo e fa fatica ad andare d’accordo con i suoi coetanei. All’età di 16 anni viene convinto ad iscriversi ad Harvard, dove è sottoposto ad un esperimento che gli causa non pochi problemi psicologici (più tardi verrà dimostrato che egli è affetto da schizofrenia): gli studenti coinvolti venivano immobilizzati e collegati ad elettrodi che ne monitoravano le reazioni fisiliogiche sotto stress, a contatto con luci accecanti.
Nonostante ciò, la carriera accademica di Kaczynski prosegue brillantemente: dopo la laurea si iscrive ad un master e porta avanti un dottorato, sempre in ambito matematico. Negli anni Settanta, la svolta: dopo essersi dimesso dal corpo insegnanti dell’Università di Barkeley, l’uomo inizia ad inviare una serie di pacchi bomba fabbricati a mano, seminando il terrore negli Stati Uniti. Alla fine il bilancio è di 3 vittime e 23 feriti e l’identità di Unabomber viene scoperta quando, nel 1995, il criminale decide di pubblicare un documento, “La società industriale e il suo futuro”, una sorta di manifesto in cui spiega le motivazioni delle sue azioni e che, diffuso sui giornali, permette al fratello, David, di capire che Unabomber è proprio lui, attraverso il raffronto con alcuni scritti precedenti.
È il 1996 quando la corte imputa all’uomo dieci reati, tra cui trasporto illegale, spedizione e uso di esplosivi, ma anche omicidio. Nel 1998 l’uomo tenta di suicidarsi, ma invano, e attualmente sta scontando l’ergastolo senza possibilità di appello nel carcere Adx Florence, nel Colorado.
Unabomber Italia: il caso omologo
Il caso omologo inizia nel corso della sagra degli Osei il 21 agosto del 1994 a Sacile, in provincia di Pordenone, dove un “tubo bomba” lasciato nei pressi di una fontanella ferisce superficialmente una mamma e le due sue figlie. È il primo di una serie di attentati, uno davanti a un centro commerciale di Pordenone, un altro vicino alla Chiesa ad Aviano e due ad Azzano Decimo durante la sfilata di Carnevale, che spingono gli inquirenti a parlare di un “Unabomber italiano”. I sospetti vengono confermati nell’estate del 1996, quando sulla spiaggia di Lignano Sabbiadoro, un bagnante, Roberto Curcio, aprendo l’ombrellone, vede cadere un oggetto avvolto in una carta di giornale, che gli recide l’arteria femorale.
L’allora sostituto Procuratore di Venezia, Felice Casson, fa compiere dei raffronti agli artificieri, che non lasciano dubbi: la mano dietro gli attentati è sempre la stessa. Dopo una sosta di quattro anni, Unabomber torna a farsi vivo il 6 luglio del 2000, sempre a Lignano Sabbiadoro, lasciando un tubo metallico sul bagnasciuga. A raccoglierlo è il carabiniere in pensione Giorgio Novelli, che subisce ferite gravi ma riesce a salvarsi. Torna la psicosi di Unabomber ma cambiano gli ordigni, non più tubi bomba ma piccoli congegni in miniatura che mette nei supermercati: prima in una confezione di uova, poi di salsa di pomodoro, fino all’accanimento sui bambini, come nell’attentato del 25 aprile 2003, in cui rimane ferita Francesca Girardi, che perde l’occhio destro e subisce gravi danni alla mano e al braccio destro.
Alla fine le indagini portano ad un sospettato: Elvo Zornitta, grande esperto di esplosivi, i cui spostamenti lavorativi sono compatibili con gli attentati di Unabomber. Nel 2006 l’ultimo attentato, lungo l’argine del fiume Livenza. Poche settimane dopo, il colpo di scena che fa anche da passaggio dalla fase degli attentati a quella dei processi: durante una delle tante perquisizioni a casa dell’ingegner Zornitta, vengono sequestrate un paio di forbici, le cui lame risultano compatibili con i tagli trovati su un lamierino rinvenuto in uno degli ordigni. Unabomber sembra smascherato, anche perché gli attentati finiscono, ma alla fine le perizie dimostrano che Zornitta non è realmente coinvolto nella vicenda e il caso si chiude con un ernorme punto interrogativo, senza colpevoli.