Tra le malattie rare che colpiscono i bambini c’è l’acidemia metilmalonica. Un nuovo studio internazionale coordinato dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma mostra ora che la terapia più efficace è quella che prevede il trapianto combinato di rene e fegato, richiedendo la modifica delle strategie di intervento per il trattamento della malattia.
Cos’è l’acidemia metilmalonica
L’acidemia metilmalonica è un difetto congenito che riguarda il metabolismo degli amminoacidi e della vitamina B12. Si tratta di una malattia rara, che colpisce circa 2 persone su centomila, da cui deriva il malfunzionamento di uno specifico enzima che rende impossibile all’organismo metabolizzare le proteine ingerite con l’alimentazione, provocando l’accumulo nel sangue di una sostanza chiamata, appunto, acido metimalonico, che comporta danni importanti ai reni, fino all’insufficienza renale terminale. Per ridurre l’accumulo tossico di acido i pazienti devono seguire una dieta povera di proteine ed assumere alcuni farmaci. Nelle forme più gravi, sempre più spesso si ricorre al trapianto d’organo: di fegato, quando non è presente l’insufficienza renale, di rene, oppure combinato rene-fegato in caso di insufficienza renale. La diagnosi si effettua invece con analisi biochimiche e genetiche e, in Italia, l’acidemia metilmalonica fa parte delle malattie soggette a screening neonatale obbligatorio.
Lo studio internazionale coordinato dall’Ospedale Bambino Gesù
La nuova ricerca ha dimostrato che la terapia più efficace consiste nel doppio trapianto rene-fegato e che il trapianto del solo rene non è risolutivo della patologia. Un risultato importantissimo, presentato nel corso del decimo congresso dell’International Pediatric Transplant Association (IPTA) e in via di pubblicazione su una rivista scientifica internazionale, che ha già indotto alcuni centri che hanno partecipato allo studio a modificare le loro linee guida di intervento per il trattamento della malattia. “Le conclusioni dello studio hanno ricadute importantissime sui programmi di trapianto di moltissimi centri”, ha spiegato il dottor Luca Dello Strologo, coordinatore e prima firma dello studio e responsabile del follow-up del trapianto renale dell’Ospedale della Santa Sede. L’indagine ha richiesto la collaborazione di 19 grandi centri tra Europa (15) e Stati Uniti (4) e il coinvolgimento di 83 pazienti pediatrici, numero alto per una malattia rara. Di tutti i soggetti coinvolti, 26 (31%) erano stati sottoposti a trapianto di rene, 24 (29%) a trapianto di fegato e 33 (40%) a trapianto sia di rene che di fegato.
I loro dati sono stati statisticamente comparati tra loro per verificare quale soluzione terapeutica risultasse la più efficace. Ne è emerso che i pazienti sottoposti a trapianto combinato di rene e fegato o solo di fegato hanno livelli di acido metilmalonico più bassi sia nel sangue che nelle urine rispetto a quelli trapiantatati solo di rene. Anche la frequenza delle crisi metaboliche è risultata ridotta nei primi due gruppi. “Nonostante il trapianto di rene sia stato utilizzato in circa 1/3 dei casi e nonostante venga indicato come possibile soluzione, i dati dimostrano in maniera inequivocabile che si tratta dell’approccio terapeutico che fornisce i risultati peggiori”, ha spiegato Dello Strologo. Anche il trapianto di fegato ha dato risultati migliori del solo trapianto di rene in termini di efficacia, ma in questo caso a fare la differenza è la precocità dell’intervento. L’età mediana dei trapiantati solo di fegato era infatti nettamente inferiore rispetto a quella delle altre due coorti: 1,8 anni contro gli 11,1 dei trapiantati di rene e i 9,5 dei trapiantati rene/fegato. “Questi risultati comporteranno la modifica dei programmi di trapianto dei singoli centri – ha concluso Dello Strologo. Il Bambino Gesù ha già modificato la propria strategia e da allora non ha più trapiantato un rene isolato e anche altri centri si stanno allineando”.