È un caso di cronaca noto anche come “Giallo della fonderia”, quello che riguarda l’omicidio di Mario Bozzoli, scomparso nel 2015 a Marcheno, in provincia di Brescia. Ad uccidere l’uomo sarebbe stato il nipote, Giacomo Bozzoli, ora condannato all’ergastolo in primo grado.
Omicidio Mario Bozzoli: i fatti
Il grande mistero di Marcheno inizia l’8 ottobre 2015, quando Mario Bozzoli, titolare insieme al fratello della fonderia di famiglia, situata in via Gitti, svanisce nel nulla per non ricomparire mai più. Le ricostruzioni dicono che a fine turno, poco dopo le 19, l’uomo sarebbe sceso dal muletto, dirigendosi verso gli spogliatoi e telefonando alla moglie: “Mi cambio e arrivo”. Ma non ci sarebbe riuscito e i vestiti sarebbero rimasti nello spogliatoio, perché Mario sarebbe stato ucciso mentre attraversava il capannone dei rottami. La sua macchina è nel piazzale, con portafogli, telefono e una fattura da 47mila euro intestata alla Bozzoli srl a favore dell’azienda concorrente che il fratello e i figli progettavano a Bedezzole e da cui lui era stato escluso. E sullo stesso piazzale una porsche viene inquadrata mentre lascia la fonderia, tornando nel giro di pochi minuti. Posteggia un’area vicino al capannanone mai utilizzata: secondo gli inquirenti trasporta il corpo dell’uomo.
I primi sospetti ricadono sui nipoti. Il movente sarebbe l’insanabile spaccatura tra i due rami della famiglia, ma anche un episodio accaduto poco prima, quando Mario li aveva accusati di truffa per aver ottenuto una forte liquidazione assicurativa per un banale incidente ai forni raccontato come uno scoppio. Pesano, su di loro, anche alcuni gravi indizi, come la decisione di spostare l’inquadratura delle videocamere di sorveglianza su soffitti e piante proprio otto giorni prima del delitto. Ma sembra anche che Giacomo, uno dei nipoti, avesse già in programma di eliminare lo zio, come aveva confidato a un’ex fidanzata, che ha poi raccontato tutto agli inquirenti: “Io avrei dovuto far parte del piano”. Insieme al fratello il ragazzo diventa quindi il primo sospetto, mentre due dipendenti della fonderia, Oscar Maggi e Aboagje “Abu” Akwasi, che si erano dimostrati reticenti, vengono accusati di favoreggiamento.
Giacomo Bozzoli condannato all’ergastolo per l’omicidio dello zio
Ora, a sette anni dal delitto, 22 udienze e un anno e mezzo di processo, è arrivata per Giacomo Bozzoli la condanna in primo grado all’ergastolo. La sentenza, pronunciata dal presidente della corte Roberto Spanò nella serata di ieri dopo un giorno di camera di consiglio, prevede anche un anno di isolamento diurno per l’imputato, che secondo l’accusa avrebbe meditato a lungo di uccidere lo zio, considerato un intralcio per la gestione della fonderia, di cui controllava entrate e uscite. Mentre per il fratello Alex e l’operaio Aboagje Akwasi si attende la valutazione della Procura, rispettivamente per falsa testimonianza e favoreggiamento. Più grave l’accusa per il secondo dipendente in turno la sera del delitto, Oscar Maggi, accusato di concorso in omicidio e distruzione del cadavere. In questi mesi era arrivato il cambio d’accusa anche per Giacomo: l’ipotesi con cui si era arrivati al rinvio in giudizio era quella secondo cui avesse ucciso lo zio per poi caricarne il corpo in auto e farlo sparire.
Ma il corpo non è mai stato trovato. All’ultimo momento si è quindi ipotizzato che il corpo fosse stato distrutto dall’uomo servendosi di uno dei forni della scuderia in concorso con altre persone. Determinante in questo senso, secondo gli avvocati di parte civile, la perizia sullo stesso forno e la prova in scala che aveva chiarito che distruggere il corpo di Mario Bozzoli nel forno sarebbe stato tecnicamente possibile. Per capire nel dettaglio però perché la corte abbia preso la decisione di condannare l’uomo all’ergastolo sarà necessario attendere i 90 giorni che il presidente Spanò si è preso per depositare le motivazioni. Mercoledì il pubblico ministero di Brescia, Silvio Bonfigli, aveva chiesto l’ergastolo. L’avvocato Luigi Frattini, difensore di Giacomo Bozzoli, aveva invece chiesto ieri l’assoluzione per “mancanza di prove”. “Il fatto non sussiste”, ha sempre sostenuto, e non esistono segni che Mario sia stato aggredito e ucciso da Giacomo. Non la pensa allo stesso modo la prima sezione penale del Tribunale di Brescia, che ha riconosciuto l’imputato colpevole.