Si sente vento di cambiamento dalle parti del Nazzareno. La debacle elettorale ha messo il Partito Democratico nelle condizioni di avviare una vera e propria analisi interiore, una ricerca di sé, della propria identità. Diventa ciò che sei, per dirla in filosofese. Ma chi è il PD? O meglio, cos’è il PD? Un problema identitario che ha riguardato il partito fin dalle sue origini. “A cosa serve il PD” si chiedeva Alfredo Reichlin sull’Unità, quando scriveva della necessità che il nuovo soggetto politico nascesse con la pretesa di essere qualcosa din più che l’“ennesima riedizione di un partito si sinistra” perché “un partito politico oggi deve essere in grado di affrontare questioni di carattere culturale e ideale, deve esporsi in tema di valori, non può più essere un partito che si occupa solo di politica”. Problemi tutt’altro che invecchiati male: ancora attuali ed ancora in attesa di risposta.
Il rebranding
Si paventa anche l’ipotesi che il PD cambi pelle, in senso meramente estetico. Nuovo logo e addirittura nuovo nome. Questo trapela da fonti dem, anche attraverso dichiarazioni dirette di alcuni esponenti come Roberto Morassut. O Rosy Bindi, tra le promotrici della nascita del partito, che ha definito accanimento terapeutico la prospettiva di mantenerlo in vita per com’è oggi. Ma anche nuova segreteria, magari segnando una netta discontinuità con un nome alla Elly Schlein.
Occhio, però, al surplus di forma sulla sostanza. Occhio a pensare che gli interventi di cui sopra, per quanto importanti, possano bastare. Il rischio sarebbe quello dello specchietto delle allodole, di un cambiamento solo formale ma non sostanziale. L’individuazione di sé deve scavare nel pronfondo e deve portare alla luce una proposta vera per il futuro. Una questione dalla quale non si può non ripartire, a giudizio di chi scrive, è quella relativa all’apertura ad altri soggetti politici collocati fuori dal PD. Nonché quello del recupero di un dialogo con tutte quelle forze politiche alternative al centrodestra. Come ha spiegato il professor Stefano Ceccanti le attuali regole del gioco, quelle del Rosatellum, in combinato disposto con la riottosità ad un dialogo esterno, rischierebbero di congelare l’egemonia del centrodestra per molto tempo. Fare rebranding è sacrosanto e, forse, visti i tempi, opportuno. Ma oltre a quello deve cambiare qualcosa nella forma mentis dem, anche in temini di una proposta che non può limitarsi allo sbandieramento del pericolo fascista. Insomma: più radicalità nelle proposte e maggiore apertura verso l’esterno. Ancora Riechlin ci torna utile: “La risposta alle nuove sfide e ai nuovi conflitti del mondo richiede schieramenti più larghi”.
(Citazioni di Alfredo Reichlin tratte da: Alfredo Reichlin il Partio Democratico e l’Italia. Articoli da l’Unità 2007/2010; Goodlink editore; 2010)