È uno dei big non eletti di queste elezioni, sconfitto all’uninominale di Pisa dal candidato di centrodestra Ziello: il costituzionalista Stefano Ceccanti. Contattato dalla redazione di TAG 24, l’esponente del Partito Democratico ha risposto alle seguenti domande.

Quello di Pisa si preannunciava un collegio complicato, ha lottato e l’abbiamo vista particolarmente attivo in campagna elettorale. Eppure, non è bastato. Ha qualche rammarico?


Il risultato in qualsiasi sistema basato su collegi uninominali maggioritari dipende soprattutto da tendenze di voto nazionali, a cui il singolo candidato può aggiungere o sottrarre qualche punto percentuale. Su Pisa città ad esempio, come voto solo sul nome, ho preso 1134 voti, Ziello, il candidato della destra, solo 510. Questo vuol dire che la mia candidatura ha portato un valore aggiunto, ma che era difficile invertire il trend nazionale. Il punto fondamentale era questo: se la differenza nazionale fra le prime due coalizioni fosse stato intorno ai 15 punti da noi ci sarebbe stata una sostanziale parità, altrimenti andando verso 20 punti come è effettivamente accaduto, l’onda nazionale sarebbe stata comunque decisiva per la destra”.

Nel comunicato in cui ha annunciato la candidatura ha scritto che non avrebbe accettato una candidatura fuori da Pisa, perché avrebbe smentito il suo legame con il territorio. Le era stata prospettata la possibilità di entrare in qualche listino proporzionale? È stata una sua scelta quella di restarne fuori?


Il mio riferimento era alla prospettazione di candidature in altri collegi uninominali, che non avrebbe avuto senso. Non c’è mai stata una proposta per posizioni eleggibili sulla parte proporzionale, che avrebbe potuto avere senso sulla base del lavoro svolto di rilievo nazionale, in particolare come capogruppo in Commissione Affari Costituzionali”.

Nel comunicato di sconfitta ha criticato la strategia del PD. Ridurre tutto alla dicotomia “O noi o loro” è stato un errore? Se sì, come immagino, su cosa avrebbe dovuto puntare il PD? Le chiedo, indirettamente, quali sono le questioni da cui ripartire per ricomporre il legame con i cittadini e le cittadine…

Un partito come il Pd nasce e cresce per rappresentare una proposta di Governo sul lato di centrosinistra: si può vincere o perdere, ma si deve ricavare una precisa proposta di priorità e di persone. “O noi o loro”, cioè “votate Pd o vince troppo la destra” non può essere un programma di governo. Al netto di un legittimo invito al voto utile nei collegi marginali, l’elettore vota per affinità ai valori, alle idee e alle proposte che un partito fa, non solo e non tanto per contrasto ai programmi altrui. Con Veltroni nel 2008, pur nella cattiva sorte, che era d’altronde inevitabile dopo i disastri dei conflitti nell’Unione tra 2006 e 2008, c’era una chiara proposta sul futuro dell’Italia e il Pd raggiunse il suo massimo storico. Stavolta obiettivamente la proposta di Governo complessiva non c’era, dobbiamo imparare questa lezione e chiedere il voto sulla nostra idea di Paese e dell’Europa”.

Molti esponenti di spicco si stanno esprimendo circa il futuro del partito. Una linea che sembra emergere è: prima di cambiare segreteria, il PD deve ritrovare (o trovare) la sua anima. È così? Possiamo parlare di un anno zero?


“Diciamo che non si tratta solo di cambiare un segretario, ma di operare un cambiamento profondo, senza però dilatare i tempi e lasciare il Pd in un limbo. Per quindici anni abbiamo fatto come quelle squadre di calcio che dopo una sconfitta cambiano l’allenatore, anche quando con Veltroni la sconfitta conteneva in sé un potente germe di futuro. Abbiamo cambiato 10 segretarie e perso 5 milioni di voti. Il peggior risultato della storia del centrosinistra non può essere derubricato al cambio segretario, ma serve operare un cambiamento profondo. Come diceva Bobbio ‘Si interrogano sul loro destino e non hanno capito la loro natura. Capiscano la loro natura e risolveranno il problema del loro destino'”.

L’operazione di ricostruzione potrebbe riguardare anche il Movimento 5 Stelle e, quindi, il ripristino di un campo progressista?


A me non spaventa il dialogo con nessuna delle forze che stanno nel campo alternativo alla destra se il Pd fa appunto il Pd, se esprime una linea chiara di innovazione di centrosinistra. Peraltro a legge elettorale vigente l’assenza di una proposta seria del Pd e una polarizzazione tra Terzo Polo e m5S che si vivono come non coalizzabili tra loro stabilizzerebbe un’egemonia della destra, una minoranza destinata ad essere trasformata in maggioranza grazie alle divisioni altrui“.

Cosa teme – se teme qualcosa – del futuro Governo Meloni? Le presunte nostalgie del passato, le ambigue interlocuzioni con leader internazionali, l’ambivalenza sui diritti civili oppure la possibilità di una modifica della Costituzione? Su quest’ultimo aspetto, da costituzionalista, ci sono davvero i margini politici e strutturali per il passaggio ad una forma di governo semipresidenziale?


“Tutto si può discutere se inquadrato in un sistema di pesi e contrappesi, tranne la proposta di dare un primato alle norme interne italiane rispetto al diritto dell’Unione europea. Con quel tipo di proposta nazionalistica non solo non si riuscirebbero a realizzare tappe ulteriori di integrazione, ma si metterebbe in discussione anche quella attuale”.