Arriva la bocciatura dell’iniziativa che ha portato al referendum di ieri in Svizzera che va ben oltre le previsioni, il 62,86% dei votanti ha infatti detto no all’abolizione degli allevamenti intensivi. Porchet: “non è stata una lotta contro il mondo agricolo, ma contro l’industria agroalimentare”.

Netta bocciatura per l’iniziativa contro l’allevamento intensivo in Svizzera: il 62,86% dei votanti ha detto no al referendum. Per i contrari il risultato delle urne è “un voto di fiducia nei confronti degli agricoltori”, mentre i favorevoli parlano di “occasione mancata”.

Solo Basilea Città ha approvato il testo, con il 55,18% di voti a favore. Negli altri cantoni urbani l’iniziativa ha raccolto maggiori consensi rispetto alla media nazionale, ma i voti contrari sono comunque stati in maggioranza. La più alta percentuale di no è quella registrata ad Appenzello interno con il 78,35%, ma in diversi altri cantoni supera il 70% (Uri, Svitto, Nidvaldo, Obvaldo, Giura, Friburgo). In Ticino il testo è stato bocciato dal 65,49% dei votanti e nei Grigioni dal 65,23%. La partecipazione al voto a livello nazionale è stata del 51,6%.

Il rifiuto è molto più chiaro del previsto, ha detto il politologo Lukas Golder alla televisione della Svizzera tedesca. A differenza delle proposte di politica agricola di un anno fa, si tratta di una “grave sconfitta” per questa iniziativa, ha aggiunto.

Gli oppositori invece ritengono che la bocciatura odierna rappresenti un voto di fiducia nei confronti dell’agricoltura svizzera. Martin Rufer, direttore dell’Unione svizzera dei contadini (Usc), ha dichiarato che gli elettori hanno ritenuto la protezione degli animali già garantita a sufficienza. Rufer si è detto molto soddisfatto del risultato e ha ribadito che un’accettazione avrebbe avuto conseguenze molto negative per gli agricoltori e la produzione alimentare in Svizzera.

Daniel Würgler, presidente di GalloSuisse, ha parlato di “segnale forte” ai microfoni della Rts: “Il lavoro che facciamo come agricoltori è riconosciuto”. Non è facile essere “attaccati quando stiamo facendo del nostro meglio per il benessere degli animali”, ha aggiunto ricordando che è già possibile acquistare prodotti etichettati che attestano una produzione rispettosa.

L’agricoltura in Svizzera è più regolamentata dell’intero settore energetico, ha dichiarato il consigliere nazionale Udc Mike Egger (Sg) in un’intervista a Srf. Non è una soluzione, ha detto, perché il Paese ha bisogno di un’agricoltura produttiva. “I temi del benessere degli animali e della sostenibilità non sono emersi ieri”, ha sottolineato Egger, aggiungendo che si stanno compiendo sforzi per migliorare la situazione. “I migliori ambientalisti della Svizzera sono i nostri agricoltori”.

Svizzera referendum allevamenti intensivi: cosa prevedeva

La Svizzera dispone di una legge sulla protezione degli animali fra le più severe in assoluto e già dal 1996 nella nazione è vietato allevare le galline in batteria. Negli allevamenti svizzeri le regole contro il sovraffollamento sono molto stringenti: ad esempio non è possibile tenere rinchiusi oltre 1500 suini per struttura o più di 300 vitelli.

Per i promotori del referedum, però, si potrebbe fare di più. Il Partito ecologista svizzero insieme ad altre associazioni come Greenpeace e Bio Suisse (principale organizzazione di agricoltura biologica del Paese) chiedevano di inserire la tutela del benessere animale e il divieto di allevare a livello intensivo nella Costituzione svizzera.

Nel caso in cui avesse vinto il sì, le aziende avrebbero dovuto adeguarsi per soddisfare le direttive priviste dal marchio Bio Suisse del 2018 entro 25 anni. Questi requisiti sarebbero stati applicati anche all’importazione di animali dall’estero e a prodotti derivati come uova e latte. Ma alla fine il popolo svizzero non ha ritenuto necessario, almeno per il momento, superare il sistema dell’allevamento intensivo. Sarebbe stata una vittoria straordinaria per gli animali e per l’ambiente, che avrebbe mandato un segnale forte all’Europa.

Occasione mancata

Il Comitato a favore ha espresso la propria delusione per il risultato odierno e per non essere riuscito a dimostrare che un’accettazione avrebbe in definitiva favorito anche l’agricoltura. “È stata una battaglia tra Davide e Golia”, ha dichiarato domenica Philipp Ryf, direttore esecutivo della campagna per il sì, all’agenzia di stampa Keystone-Ats. La parte avversa aveva molte più risorse finanziarie, ha detto.

Ryf ha parlato di un’occasione mancata ed è convinto che il periodo di transizione di 25 anni avrebbe permesso all’agricoltura svizzera di adeguarsi. A suo avviso tra un quarto di secolo la produzione di cibo sarà diversa rispetto a oggi.

La consigliera nazionale Léonore Porchet (Verdi/Vd) ha ribadito che “non è stata una lotta contro il mondo agricolo, ma contro l’industria agroalimentare, che esercita un’enorme pressione sugli agricoltori”. La paura dell’aumento dei prezzi ha probabilmente giocato un ruolo decisivo, ha ammesso il consigliere agli Stati Daniel Jositsch (Ps/Zh). Un argomento comprensibile, ma in vista delle sfide future il dibattito sul tema continuerà, ha aggiunto. Per Vera Weber, presidente della Fondazione Franz Weber, l’aver discusso attorno agli allevamenti e al consumo di carne è comunque una vittoria.