Da Oltretevere formalmente tutto tace, ma le elezioni italiane sono un dossier aperto in Segreteria di Stato. Il cardinale Pietro Parolin è reduce dall’incontro che doveva restare riservato, a margine dell’assemblea generale delle Nazioni Unite, con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. La foto con la stretta di mano tra i due è stata però pubblicata da Mosca e ora il porporato fa sapere ai media che questo non è e non vuole essere uno sgarbo all’Ucraina. La tematica ricade tutta dentro l’animata campagna elettorale italiana dove Giorgia Meloni ha assicurato a tutti, Vaticano compreso, che non intende deflettere in politica estera dall’Agenda Draghi.
Le armi continueranno ad arrivare a Kiev secondo il volere di Joe Biden, fino alla vittoria delle truppe ucraine su Putin. Il Vaticano è però preoccupato dalla “inesperienza” della Meloni e continuano a lavorare silenziosamente per un’opzione di continuità con Mario Draghi, almeno nella formula politica. Qui entra in campo il capo della chiesa italiana, l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi, il cardinale con più relazioni nella politica italiana grazie anche al ruolo di cappellano della comunità di Sant’Egidio. Da Matera, dove ha riunito i vescovi italiani nel suo ruolo di presidente della Cei, Zuppi ha fatto uscire una nota collegiale che è un vero e proprio programma di governo per deputati e senatori eletti il 25 settembre: “L’agenda dei problemi del nostro Paese è fitta: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale”.
Ma Zuppi e i suoi lavorano anche di politique politicienne, grazie all’agenda più ricca di rapporti diretti con i leader di qualsiasi altro porporato italiano. E c’è chi vede nell’uscita di Berlusconi contro Orban (e quindi contro Meloni e Salvini che al Parlamento europeo hanno votato a suo favore) proprio la longa manus ecclesiale che chiede di andare verso una riedizione del governo Draghi o almeno verso una formula politica analoga, accantonando presto la parentesi meloniana a Palazzo Chigi che viene comunque considerata ineluttabile “e non particolarmente pericolosa”, dicono le gole profonde da Santa Marta, persino da Papa Francesco in persona. A patto che la parentesi sia parentesi e non duri troppo a lungo. Attraverso uomini piazzati nei gangli del potere vaticano, in particolare tra comunicazione e Osservatore Romano, è sempre attivo il canale con il Quirinale che ha rassicurato il Papa: alla fine il centrodestra sarà addomesticato e saranno Lega e Forza Italia a sistemare il velleitarismo della “queen” della Garbatella.