Lo ha annunciato il Tesoro americano: la polizia morale iraniana sarà sanzionata dagli Stati Uniti. È la conseguenza di quanto accaduto qualche giorno fa, quando Mahsa Amini, una 22enne originaria del Kurdistan, è stata arrestata a Teheran per aver indossato il velo in “maniera inappropriata”, cioè facendo uscire una ciocca di capelli e quindi non osservando la legge in vigore dal 1981 in Iran. La ragazza è poi deceduta in circostanze sospette in ospedale, dopo tre giorni di coma, provocando un’ondata di proteste in tutto il Paese contro la polizia religiosa, accusata di averla uccisa. Per giorni la popolazione iraniana si è riversata in strada per far valere i propri diritti e molte donne hanno rischiato personalmente la vita pubblicando sul web video e immagini in cui si tagliano i capelli o si mostrano mentre bruciano l’hijab, il velo: una sfida al regime degli ayatollah.

Gli Usa sanzionano la polizia morale iraniana

Per la morte di Mahsa Amini ora gli Stati Uniti hanno deciso di sanzionare la polizia morale iraniana. Ad annunciarlo, il segretario al Tesoro americano Janet Yellen, che ha dichiarato:

Condanniamo questo atto nei termini più duri e chiediamo al governo iraniano di mettere fine alla violenza contro le donne.

Dall’America avevano già condannato quanto accaduto lo scorso 17 settembre. Il portavoce del Consiglio di Sicurezza nazionale della Casa Bianca aveva parlato di “affronto spaventoso ai diritti umani”, chiedendo che fossero presi adeguati provvedimenti contro i responsabili e che alle donne iraniane fosse garantito l’esercizio delle libertà fondamentali. Per ora, a seguito delle proteste, sono già stati diversi i manifestanti uccisi, circa 31 secondo l’Ong Iran Human Rights, mentre le autorità hanno bloccato anche l’accesso a Instagram e Whatsapp.

Ma cos’è la polizia morale iraniana accusata della morte di Mahsa Amini?

Nota anche come “polizia religiosa”, si tratta di una forza paramilitare dell’Iran fondata per ordine dell’ayatollah Khomeini, che nel 1979 fu a capo della Rivoluzione che trasformò la monarchia del Paese in una repubblica islamica sciita, la cui costituzione si ispira alla legge coranica. Come corpo ausiliare di polizia svolge quindi compiti relativi al mantenimento dell’ordine pubblico in momenti di emergenza, ma è perlopiù incaricato della sorveglianza sul rispetto della “morale islamica”, tra cui rientra, per le donne, anche l’obbligo di indossare il velo. La legge fu introdotta all’indomani dall’ascesa di Khomeini, che proprio nel 1979 rilasciò ad Oriana Fallaci una storica intervista, nel corso della quale la giornalista si rifiutò di indossare l’hijab. Queste erano state le sue parole:

Le donne che hanno fatto la Rivoluzione erano e sono donne con la veste islamica, non donne eleganti e truccate come lei che se ne vanno in giro tutte scoperte trascinandosi dietro un codazzo di uomini. Le civette che si truccano ed escono per strada mostrando il collo, i capelli, le forme, non hanno combattuto lo Scià. Non hanno mai fatto nulla di buono quelle. Non sanno mai rendersi utili: né socialmente, né politicamente, né professionalmente. E questo perché, scoprendosi, distraggono gli uomini e li turbano. Poi distraggono e turbano anche le altre donne.

Quell’anno furono più di 100mila le donne a scendere in piazza per protestare contro la legge. Ma a nulla servì, perché la norma alla fine entrò in vigore, nel 1981, e nel 1983 il mancato utilizzo del velo divenne ufficialmente reato penale: le donne che non avrebbero indossato l’hijab, a partire dai nove anni d’età, d’ora in avanti sarebbero state punite con 74 frustate e imprigionate da un mese a un anno. Non è l’unico obbligo per le donne, né spesso le punizioni si fermano a quelle previste sulla carta, come il caso di Mahsa Amini, purtroppo, dimostra.