Sostegno alla mafia in cambio di voti. In Sicilia, alla vigilia delle elezioni del 25 settembre, è stato arrestato un altro candidato alle regionali. Si tratta del sessantaduenne Salvatore Ferrigno, iscritto alla lista dei Popolari autonomisti dell’ex governatore Raffaele Lombardo, della coalizione di centrodestra.
Appena ieri, l’arresto di Barbara Mirabella, candidata anche lei alle elezioni regionali in Sicilia nella lista di Fratelli d’Italia ed ex assessore comunale alla Cultura e Pubblica Istruzione del Comune di Catania. L’accusa, per cui è stata messa ai domiciliari, è quella di corruzione.
Mafia e corruzione in vista delle elezioni 2022. Arrestato Ferrigno
Salvatore Ferrigno è stato arrestato questa mattina dai carabinieri del Nucleo investigativo, per aver commesso reati di voto di scambio elettorale politico-mafioso. In manette anche il boss Giuseppe Lo Duca e la presunta ‘mediatrice’ tra il candidato il capomafia, Piera Lo Iacono.
Il candidato del centrodestra (originario di Carini, ma a lungo negli Stati Uniti, soprattutto a Filadelfia dove faceva il broker assicurativo), parlamentare di Forza Italia nel 2006 per la circoscrizione Nord e Centro America, secondo quanto emerso dalle intercettazioni, avrebbe versato ingenti somme di denaro in cambio dell’impegno da parte del boss Lo Duca (finito in carcere) di raccogliere voti nella zona della provincia.
Chi indaga sostiene quindi che il candidato autonomista avrebbe promesso favori e denaro a Lo Duca in cambio del sostegno alle urne. Una serie di intercettazioni ambientali, alcune di pochissimi giorni fa, stanno alla base delle accuse.
Una storia che si ripete, Da Lombardo a Polizzi
L’inchiesta, coordinata dalla Dda, nasce da un’indagine dei carabinieri del Nucleo investigativo, guidati dal tenente colonnello Salvatore Di Gesare, sui clan mafiosi della provincia di Palermo. Alle scorse amministrative di giugno finirono in carcere, sempre con l’accusa di scambio elettorale politico mafioso, i candidati al consiglio comunale di Palermo Francesco Lombardo e Pietro Polizzi. Anche a loro la Procura contestò di aver stretto un patto con la mafia che prevedeva appoggio ai clan in cambio del sostegno elettorale.