La campagna elettorale sta per volgere al termine e prima di entrare nel silenzio che precede il voto, ecco un’analisi su come hanno comunicato i principali leader. Posizionamento, tone of voice, storytelling, momenti di crisi, varie ed eventuali. Ecco tutto quello che c’è da rivedere.
La comunicazione di Enrico Letta
POSIZIONAMENTO – Polarizzazione. È senza dubbio questa la parola chiave della campagna elettorale di Enrico Letta. Il leader del PD è partito da un fondamento del marketing politico: scegliere un nemico per mettere in risalto sé stessi. Il nemico è stato, senza dubbio, Giorgia Meloni. Il rischio di parlare troppo di un avversario è quello, come Lakoff insegna, di ribadire la sua narrazione anziché contrastarla. Tuttavia Letta, aiutato da una creatività grafica volta ad impostare una differenzazione manichea, ha cercato di ribadire la sua forma mentis politica mettendola in antitesi con quella opposta. È stato, per dirla in maniera narrativa, un tentativo di creare una storia in cui il buono (Letta) cerca di abbattere il nemico (Meloni) per mettere in salvo il popolo (l’Italia). Come ci insegna Giovanni Diamanti in Mosse e Contromosse, però, la polarizzazione – quando riesce – si acuisce nelle battute finali di campagna elettorale. Queste che stiamo vivendo, dunque. Evidentemente, le urne daranno il feedback definitivo circa l’eventuale riuscita della strategia.
Le parole di oggi di Putin confermano che il nostro #scegli è giusto.
— Enrico Letta (@EnricoLetta) September 21, 2022
O si sta di qua o di là, o si sta con Putin o si sta con l’Europa.
Noi scegliamo l’Europa.
Noi scegliamo l’interesse dell’Italia. #25settembrevotoPD pic.twitter.com/HTDr6fnlUx
TONE OF VOICE E STORYTELLING – Il tono è quello tipico di Letta, non ci sono state grosse novità: pacato, serio, competente. L’archetipo scelto, è quello dell’Angelo Custode (in linea con il tentativo di polarizzare l’opinione pubblica). A livello di storytelling politico la campagna è iniziata con il peccato originale della perdita del Movimento 5 Stelle: il motivo dell’allenza progressista è venuto meno. Questo lo ha reso attaccabile anche dal partito di Conte. Nonché da Calenda: prima amico, poi nemico per via del ripensamento. Il fuoco nemico è arrivato da ogni dove, ma lui è rimasto sempre concentrato sull’affondare Meloni. Questo ha mantenuto saldo il suo tentativo di fungere da polo anti destra: chi vuole può salire sul carro, per il bene comune. Scegli recita il claim: o noi o loro.
COSA È ANDATO E COSA NO – L’espressione occhi della tigre non ha scaldato il cuore, ed è subito stata rimessa nel cassetto. Ma quella frase spiega, in parte, un neo della campagna di Letta: troppo moderata. La polarizzazione, per riuscire, deve essere spinta, e non sempre lo è stata. La campagna, poi, è stata anche sottostimata: “perdere bene”, è sembrato essere l’obiettivo del PD. Poi ritrattato, più recentemente, con “siamo in rimonta”. Espressioni che non infiammano, per così dire. Ma per vederla da un’altra prospettiva quella di Letta potrebbe essere stata anche una strategia ragionata: fare l’underdog per poi pompare e vendere come una vittoria – se ci saranno le condizioni – il risultato ottenuto all’indomani del 26 settembre.