Lo zio e coach di Rafa commenta in un’intervista la rivalità tra il nipote e Roger Federer. La rivalità tra Roger Federer e Rafael Nadal è stata una delle più epiche nella storia dello sport. Re Roger, dopo aver annunciato il suo imminente ritiro, ha fatto palesemente capire che vorrebbe giocare la sua ultima partita ufficiale in doppio insieme al maiorchino.

Lo farà, in Laver Cup. The last dance, la partita finale, stavolta dalla stessa parte del campo, dopo essersi sfidati per anni e aver segnato un’epoca tennistica. Un rapporto, quello tra i due, che si è solidificato in amicizia. Ha provato a raccontarlo, tramite un’intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport, lo storico coach di Rafa (che è anche suo zio), Toni Nadal. Ne riportiamo qui qualche passaggio:

È la rivalità più importante di sempre?

“Anche nelle partite più incredibili e tese, ognuno ha cercato con il proprio stile di superare l’altro, mantenendo sempre lo stesso spirito guida: nessuna scorciatoia, solo tennis. Con loro ho visto da vicino lo sport allo stato puro: la lotta fino all’ultima energia senza mai perdere rispetto per il rivale e soprattutto per il gioco. Anzi, dico che non è stata una semplice rivalità, è stato un esempio a cui guardare nella vita”.

Perché è così unica?

“Hanno costruito un’amicizia sincera, un po’ alla volta. Può sembrare un assurdo, ma sono arrivati quasi a essere felici l’uno della vittoria dell’altro. Non penso che esistesse uguale relazione tra Connors e Borg o McEnroe e Lendl. Il tempo ha poi fatto la differenza: Foreman e Alì sono due giganti senza tempo ma non sono stati uno contro l’altro per così tanti anni. E poi il tennis è uno sport individuale, che ti mette di fronte a te stesso in ogni momento: Michael Jordan e Magic Johnson duellavano in maniera favolosa, ma stavano in squadra”.

La partita più bella?

“Ne scelgo due, una vittoria nostra e una vittoria sua: mi sembra più giusto così. Innanzitutto, per quello che ha rappresentato, la finale di Wimbledon 2008 vinta da mio nipote: era un sorpasso storico dopo una battaglia indimenticabile. Ma la vittoria di Federer in Australia nel 2017 non è da meno, resta un capolavoro: venivano entrambi da un anno problematico e Roger a 35 anni riuscì a reinventarsi, dando un salto di qualità nel gioco di rovescio e mostrandosi tatticamente molto più aggressivo. Fu incredibile”.

Che eredità lascia Federer?

“In tanti hanno vinto. Nessuno, però, lo ha fatto inseguendo in ogni colpo la bellezza come lui. Ciò che ha fatto la differenza è la forma con cui lui è arrivato alla sostanza, il modo in cui hai raggiunto l’obiettivo. È qui che Roger diventa la massima espressione del gioco e trascende lo sport: nessuno, forse neanche Michael Jordan, ha mai combinato allo stesso modo eleganza e risultato”.