Mangiano tonno fresco in due diversi ristoranti e finiscono in ospedale per intossicazione alimentare. È successo nella giornata di ieri in provincia di Belluno, dove quattro persone, di cui tre facenti parte dello stesso nucleo familiare, sono state ricoverate per sindrome sgombroide. I malcapitati si erano presentati al pronto soccorso con mal di testa, rossore della cute, congiuntivite e disturbi intestinali; non ci è voluto molto a ricostruire quanto fosse accaduto: tutti avevano consumato tonno fresco al ristorante.

Subito è scattato l’allarme. “A scopo precauzionale, nelle prossime ore, in attesa della precisa identificazione delle cause dell’evento, è opportuno evitare il consumo di tonno fresco”: questa la raccomandazione delle autorità sanitarie dell’Ulss 1 Dolomiti. Intanto il Servizio di igiene ed alimenti del Dipartimento di Prevenzione, d’intesa con i carabinieri del Nas di Treviso, sta tentando di ricostruire il percorso dell’alimento coinvolto: il tonno presente nei due ristoranti “incriminati” è stato sequestato e sarà ora analizzato per capire cosa non abbia funzionato nella catena di conservazione del pesce.

Cos’è la sindrome sgombroide da consumo di pesce

La sindrome sgombroide è un’intossicazione alimentare causata dall’ingestione di pesce alterato e, essendo provocata dall’elevata quantità di istamina presente nell’alimento, si manifesta con una sintamotologia molto simile a quella delle allergie. L’istamina è una molecola che si trova, infatti, in alcuni prodotti ittici come risultato della decomposizione dell’istidina, un amminoacido presente nei tessuti muscolari di tonno, sgombro, sardine, acciughe ed altre specie di pesce. Si tratta di un processo causato in parte dallo scorrere del tempo, che rende il pesce sempre meno fresco, ma deriva soprattutto dalla conservazione non corretta di questi alimenti, che porta alla proliferazione di batteri che accelerano la decomposizione e favoriscono la formazione di grandi quantità di istamina.

L’istamina, comunque, non sarebbe nociva per l’organismo, visto che è già presente nel corpo umano e gioca un ruolo importante nella regolazione del sistema immunitario. Il problema sussiste quando questo elemento viene introdotto dall’esterno, come quando si mangia pesce avariato. La reazione del corpo a questo evento non è standard, ma la sintomatologia in genere include:

  • prurito
  • mal di testa
  • dolore addominale
  • diarrea
  • palpitazioni
  • bocca secca
  • nausea e vomito
  • arrossamento del volto

Il più delle volte si tratta di sintomi che compaiono dopo 20-30 minuti o un’ora al massimo dal momento in cui si è ingerito il cibo contaminato e tendono ad affievolirsi con il passare del tempo, scomparendo in un arco temporale che va tra le 6-8 ore e le 24 ore. La terapia, invece, prevede l’assunzione di antistaminici per via orale, almeno nei casi più lievi, mentre gli altri possono richiedere un’analisi più accurata da parte del medico.

Ma come si conserva quindi il tonno?

Bisogna fare attenzione alla cosiddetta “catena del freddo“, che indica il processo di conservazione degli alimenti, in questo caso il tonno, alle giuste temperature, durante tutto il percorso che va dalla produzione alla vendita, includendo quindi le fasi di trasporto, stoccaggio ed esposizione. Il rischio si crea quando la catena del freddo viene interrotta. Per il pesce la temperatura ideale è inferiore ai 4 C°, anche perché, una volta prodotta, l’istamina non viene degradata, né attraverso la cottura, né dopo altre tecniche di conservazione come la congelazione, l’inscatolamento o l’affumicatura.