Ue, il Parlamento Europeo ha definitivamente approvato la direttiva sul salario minimo.

La direttiva diventerà legge solo dopo l’ok del Consiglio europeo che dovrebbe arrivare entro settembre.

Tuttavia, rimane il dubbio sul recepimento della direttiva da parte del nostro Paese.

Le condizioni lavorative di molti lavoratori italiani non sono tra le più favorevoli.

La maggior parte, infatti, percepiscono salari che non superano i 4 o i 5 euro lordi l’ora e dunque, le nuove regole europee potrebbero migliorare la situazione degli italiani.

Direttiva salario minimo, sarà applicata anche in Italia?

La direttiva appena approvata dall’Ue ha l’obiettivo di assicurare l’adeguatezza del salario minimo negli Stati membri in cui già esistono.

In generale, le nuove regole, promuovono la contrattazione collettiva come mezzo di difesa dei salari.

Tuttavia, come ha ribadito il commissario europeo al Lavoro Nicolas Schmit, “nessuno Stato membro può essere obbligato a introdurre un salario minimo legale”.

Quest’affermazione è diretta in particolare, ai 6 paesi Ue che su 27 non hanno ancora adottato una misura in merito alla questione dei salari minimi, ovvero, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia e non saranno costretti a farlo se la contrattazione collettiva copre almeno l’80 per cento del mercato del lavoro nazionale.

Secondo alcuni calcoli, l’Italia dovrebbe già rispettare quella soglia e quindi non può essere imposto l’obbligo a introdurre una legge che fissi un salario minimo orario.

Escluso l’obbligo, quindi, quello che la direttiva impone all’Italia, è di promuovere una genuina contrattazione collettiva, che tuteli i rappresentanti dei lavoratori nell’interesse di questi.

In poche parole, il fine ultimo, dovrebbe essere quello di varare una legge sulla rappresentanza, per mettere un freno alla proliferazione e al dumping salariale dei cosiddetti contratti “pirata”, con stipendi più bassi rispetto ai contratti collettivi “principali” della categoria, firmati da sigle minori, fittizie o “di comodo” e sdoganati proprio dall’assenza di una legge sulla rappresentanza.

Mentre i Paesi Ue avranno due anni per recepire la direttiva, in Italia, dovrà occuparsene il prossimo governo.

Tuttavia, per alcune forze politiche, la legge sulla rappresentanza non è mai stata una priorità.

Su tutti, il coordinatore nazionale di Forza Italia e parlamentare europeo del Ppe, Antonio Tajani, afferma che:

 “Non serve il salario minimo così come lo vogliono imporre Pd e M5s, perché gli stipendi devono essere frutto della contrattazione tra i rappresentanti di lavoratori e imprese”.

La Lega, ha sempre sostenuto la necessità di migliorare i salari attraverso il taglio del cuneo fiscale, magari prendendo i soldi dal Reddito di cittadinanza, e insieme a Forza Italia e Italia Viva punta sulla decontribuzione.

Giorgia Meloni, invece, leader di FdI ha più volte definito il salario minimo “uno specchietto per le allodole”. Non è dello stesso avviso il M5s che ha sottolineato:

“Fratelli d’Italia ha votato a favore della direttiva approvata oggi dal Parlamento europeo. Ci aspettiamo adesso che Giorgia Meloni voti la nostra proposta di salario minimo anche in Italia non appena le nuove Camere si saranno insediate”.

Cosa prevedono le nuove regole europee

La nuova direttiva dovrà essere applicata a tutti i lavoratori dell’UE con un contratto o un rapporto di lavoro.

I Paesi UE, in cui il salario minimo è già in vigore, grazie ai contratti collettivi, non saranno tenuti a introdurre queste norme o a rendere gli accordi già previsti universalmente applicabili.

La definizione del salario minimo, infatti, rimarrà di competenza dei singoli Stati membri, i quali dovranno, però, garantire che i loro salari minimi siano adeguati e consentano ai lavoratori una vita dignitosa, tenendo conto del costo della vita e dei più ampi livelli di retribuzione.

A questo fine, i Paesi UE potranno determinare un paniere di beni e servizi a prezzi reali o fissarlo al 60% del salario mediano lordo e al 50% del salario medio lordo.

Inoltre, gli Stati membri in cui meno dell’80% dei lavoratori è interessato dalla contrattazione collettiva, dovranno, congiuntamente alle parti sociali, stabilire un piano d’azione per aumentare tale percentuale.

È interessante notare che, nel testo concordato, viene introdotto l’obbligo per i Paesi UE di istituire un sistema di monitoraggio affidabile, nonché controlli e ispezioni sul campo, per garantire conformità e contrastare i subappalti abusivi, il lavoro autonomo fittizio, gli straordinari non registrati o la maggiore intensità di lavoro.

Alcune categorie sociali tra cui, le donne, i lavoratori giovani, i lavoratori migranti, i genitori soli, i lavoratori scarsamente qualificati, le persone con disabilità e, in particolare, le persone che subiscono molteplici forme di discriminazione, hanno ad oggi, maggiori probabilità di percepire salari minimi o più bassi rispetto ad altri gruppi.

Per contrastare questa piaga sociale, concentrata in particolare nel mondo lavorativo delle donne, il miglioramento dell’adeguatezza dei salari minimi contribuirebbe alla parità di genere, e conseguentemente a ridurre il divario retributivo e pensionistico di genere, a far uscire le donne e le loro famiglie dalla povertà, così come alla crescita economica sostenibile nell’Unione.

L’approvazione di questo testo fa emergere l’importanza di un partenariato sociale forte e funzionante in Europa, in quanto, da sola, la politica non può dare una risposta esauriente a tutti gli aspetti di questa crisi.

In un contesto economico estremamente difficile come quello attuale, la direttiva è un primo passo affinché il lavoro diventi in tutti i Paesi Ue, una fonte di guadagno quanto più equa ed adeguata possibile, e che, il maggior numero possibile di lavoratori sia maggiormente tutelato, grazie all’impulso dato alla contrattazione collettiva.

Tuttavia, sia attenderà la risposta definitiva del Consiglio Europeo perché la direttiva diventi legge.