Jean-Luc Godard è morto all’età di 91 anni, ma ha lasciato in eredità i suoi film con cui ha rivoluzionato la Settima Arte.

Godard è morto, lunga vita a Godard e ai suoi film!

Jean-Luc Godard è sinonimo di cinema.
Può sembrare una frase altisonante ma non lo è. Quando si parla di uno dei fondatori della Nouvelle Vague, movimento cinematografico tra i più importanti nei quasi 130 anni di Storia del cinema, ogni sottigliezza viene meno. Solo così è possibile dare spazio alla centralità che il regista parigino ha rivestito, insieme ai suoi compagni di avventura che, alla fine degli anni Cinquanta, presero il linguaggio cinematografico e, semplicemente, ne fecero qualcosa di nuovo e completamente diverso. La morte di Godard ci ricorda il significato della parola rivoluzione, e rivoluzionario lui lo era davvero, come ogni artista dovrebbe esserlo. Nei suoi film c’è la sua visione del mondo, uno sguardo profondo e lucido sulla società, sugli individui, sulla politica e sull’arte che è vera, dal suo punto di vista, solo quando intrecciata con le dinamiche sociali che la sottendono.
La scomparsa di una simile figura porta con sé i ricordi di chi lo ha conosciuto e di chi ne ha apprezzato il ruolo fondamentale nella Settima Arte. Il presidente francese Emmanuel Macron su Twitter ne parla come di “un tesoro nazionale”.

Due attori che hanno lavorato con lui, Alain Delon e Brigitte Bardot, ne conservano un ricordo straordinario. Per Delon, protagonista di Nouvelle Vague del 1990, con la sua morte “si chiude una pagina della storia del Cinema”, mentre per la Bardot, Godard ha rappresentato uno “degli ultimi grandi creatori di stelle”.

A questi si devono aggiungere anche gli omaggi social dei festival cinematografici più prestigiosi, da Cannes, che su Twitter lo ricorda come un artista “senza la cui opera il cinema oggi non avrebbe lo stesso volto”, a Berlino, con i due direttori, Mariette Rissenbeek e Carlo Chatrian, che lo celebrano per aver “plasmato il cinema degli anni Sessanta e poi averlo costantemente rinnovato”, fino al da poco concluso Festival di Venezia.

Cinque pellicole per ricordarlo o riscoprirlo

Godard è morto ma quando muore un artista è possibile scoprire cosa è stato in vita grazie alle sue opere, i suoi film, nel caso di questo maestro assoluto della Settima Arte.

Fino all’ultimo respiro (1960). Jean-Luc Godard reinventa il cinema, con una storia d’amore moderna tra uno spostato (Jean-Paul Belmondo, che diventa una star dopo questa pellicola) e una giovane americana (Jean Seberg). Sceneggiatura improvvisata, regole del linguaggio filmico stravolte, riprese nel cuore di Parigi per un cinema che non si nasconde più nei teatri di posa ma abbraccia la società e le sue contraddizioni per farsene interprete.

Bande à part (1964). Una truffa ordita da due criminali in combutta con una giovane donna, si trasforma in un triangolo amoroso, per una pellicola che prende le strutture del genere noir e le stravolge completamente. Un film fondamentale, che trova in Quentin Tarantino uno dei suoi più accaniti fan, al punto da chiamare la sua casa di produzione Band Apart.

Il bandito delle 11 (1965). Meglio conosciuto con il titolo originale Pierrot Le Fou, segna la svolta nella carriera di Godard, che ‘muore’ una prima volta insieme ai due protagonisti di questa tragedia, ancora Belmondo affiancato da Anna Karina. Un amore romantico destinato al fallimento perché non di questo mondo porta il regista a cambiare radicalmente il suo cinema, trasformandolo in uno strumento esplicito di lotta politica.

La Cinese (1967). Un anno prima della rivoluzione del Sessantotto, Godard racconta la vita dei rivoluzionari, accompagnandoli nel loro percorso di scoperta della vita e dell’arte, inscindibili. Cinema militante capace di cogliere così bene i sentimenti della società circostante da prefigurarne gli sviluppi che, un anno dopo, prenderanno vita con le barricate e gli scontri del Maggio parigino, cui lo stesso Godard e il suo partner nell’esperienza della Nouvelle Vague, François Truffaut, daranno pieno sostegno costringendo alla chiusura il Festival di Cannes di quell’anno.

Week-end, un uomo e una donna dal sabato alla domenica (1967). Due giorni nella vita di una coppia borghese sono un vero e proprio inferno, in una delle pellicole più politiche e feroci del regista parigino, vera e propria denuncia della società consumistica e delle sue perversioni, raccontata con una padronanza del linguaggio cinematografico straordinaria, testimoniata dal piano sequenza di oltre 9 minuti sulle macchine incolonnate nel traffico.

Per approfondire temi e curiosità legate al cinema, l’appuntamento è con Buio in Sala, la domenica dalle 20 alle 22 su Radio Cusano Campus.