Reddito di Cittadinanza e programmi elettorali, tutte le proposte politiche.

I partiti politici hanno idee contrastanti riguardo la misura adottata per combattere la povertà.

Le proposte si dividono tra coloro che lo vogliono sostituire, coloro lo vogliono ripensare e chi lo vuole rafforzare.

La questione, tuttavia, trova spazio in tutti i programmi elettorali dei principali schieramenti politici che si fronteggeranno nelle prossime lezioni.

A dare più spazio alla questione sono il Centrosinistra e il Terzo Polo, mentre il Centrodestra propone “sostituzione dell’attuale reddito di cittadinanza con misure più efficaci di inclusione sociale e di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro”, e il Movimento 5 Stelle ne promette, invece, il rafforzamento, e al contempo, pensa a “misure per rendere più efficiente il sistema delle politiche attive”, anche tramite il “monitoraggio delle misure antifrode”.

Reddito di cittadinanza e programmi politici, le proposte in atto

Come già anticipato, i partiti del Centrosinistra e del Terzo Polo, dedicano ampio spazio alla questione del Reddito di Cittadinanza nei loro programmi elettorali.

In particolare, il Centrosinistra, include questo strumento tra le misure atte a contrastare la povertà, chiarendo anche che, esiste una legge che:

 “Introduca un salario minimo contrattuale, seguendo il modello tedesco, nei settori a più alta incidenza di povertà lavorativa, con una soglia minima affidata alla proposta delle parti sociali e che comunque rispetti i parametri della direttiva europea, attualmente per l’Italia, secondo alcune stime pari a circa 9 euro lordi orari”.

Inoltre, il Centrosinistra, prevede di:

“Migliorare ulteriormente l’Assegno unico e universale per i figli a carico”.

In quest’ottica, il Reddito di Cittadinanza:

“Deve essere ricalibrato secondo le indicazioni elaborate dalla Commissione Saraceno, a partire dall’ingiustificata penalizzazione delle famiglie numerose e/o con minori”.

Inoltre, a completamento della strategia disegnata dal centrosinistra per il contrasto alla povertà, occorre:

“Completare il sistema con un altro meccanismo: l’integrazione pubblica alla retribuzione ‘in-work benefit’ in favore dei lavoratori e delle lavoratrici a basso reddito, come proposto dalla Commissione sul lavoro povero. Questo tipo di integrazione introduce nel sistema opportuni incentivi di ricerca e permanenza di occupazione, permette l’emersione del lavoro nero e incentiva al lavoro. In questo quadro, appare utile favorire la cumulabilità”.

Terzo Polo, “il Rdc non funziona e va cambiato”

Il programma della Lista Azione – Italia Viva, fa un’analisi molto critica dell’uso del Reddito di Cittadinanza nel proprio programma elettorale, arrivando alla conclusione che questo strumento deve subire dei miglioramenti e dei correttivi per essere realmente efficace.

Per il Terzo Polo:

 “Il Reddito di Cittadinanza è uno strumento pensato male, che ha voluto raggiungere troppi obiettivi con un solo strumento e che ha ormai dimostrato tutti i suoi limiti. Chi ne ha usufruito non ha trovato lavoro, non è riuscito a formarsi professionalmente e non ha partecipato a progetti di pubblica utilità come previsto dalla normativa”.

Secondo i numeri riportati:

 “A fronte di 20 miliardi spesi nel primo anno e mezzo, lo strumento ha generato nuova occupazione a tempo indeterminato per meno del 4,5% dei percettori. Tra i percettori emerge una grande eterogeneità, in particolare per quanto riguarda la prossimità col mercato del lavoro e l’occupabilità: 70,7% dei percettori sono senza alcuna esperienza professionale nei tre anni precedenti e oltre il 72,6% dei beneficiari ha completato al massimo le scuole medie. Infine, lo strumento si è dimostrato non sufficientemente incisivo nella lotta contro la povertà: 56% delle famiglie in condizione di povertà assoluta non riceve il RdC, mentre 36% dei percettori risulterebbe sopra la soglia di povertà assoluta”.

Alla luce di questi dati, per il Terzo Polo non vi è alcun dubbio che l’unica soluzione sia quella di apportare delle modifiche.

La proposta, infatti, prevede:

 “Modifiche che incentivino maggiormente la ricerca di un impiego e l’inserimento nel mercato del lavoro e rendano più giusti e inclusivi i criteri di accesso”.

Inoltre, si propone che:

“Il sussidio venga tolto dopo il primo rifiuto di un’offerta di lavoro congrua e che ci sia un limite temporale di due anni per trovare un’occupazione, dopodiché l’importo dell’assegno deve essere ridotto di almeno un terzo e il beneficiario deve essere preso in carico dai servizi sociali del Comune”.

Poi, la proposta portata avanti dal Terzo Polo, aggiunge:

“Occorre adottare modifiche sostanziali che eliminino le iniquità esistenti nella struttura del sussidio, a danno delle famiglie numerose e a coloro che vivono nelle grandi aree urbane. Dal momento che i Centri per l’impiego non sono stati efficaci nel favorire l’incrocio tra domanda e offerta di lavoro, è necessario, consentire alle agenzie private per il lavoro di accedere ai dati dei percettori del reddito, al fine di poter affiancare i centri per l’impiego nella ricerca del lavoro. È inoltre fondamentale che le agenzie private svolgano colloqui mensili obbligatori con i percettori del reddito al fine di monitorare la ricerca di lavoro ed individuare eventuali esigenze formative. Il sussidio deve essere rimosso per i percettori che non partecipano ai colloqui”.

E continua, aggiungendo ulteriori correttivi sulla formazione delle competenze che dovrà avvenire:

“Tramite corsi obbligatori da pianificare a livello nazionale sulla base del fabbisogno e dello ‘skill mismatch’ misurato mese per mese dall’Anpal e dalle agenzie private per il lavoro nel corso dei colloqui mensili con i percettori del sussidio. L’erogazione della formazione dovrà essere esternalizzata alle scuole di alta formazione pubbliche e private e agli Its”.

Infine, il partito entra nel merito anche della gestione dei progetti di pubblica utilità, concludendo come segue:

“C’è poi un altro meccanismo del RdC che non funziona, ovvero, l’obbligo dei percettori di partecipare per otto ore a settimana a progetti di pubblica utilità organizzati da enti del terzo settore. Oggi questo non avviene a causa di complessi iter burocratici. Per questo, occorre semplificare le procedure per l’attivazione di progetti da parte del terzo settore, prevedendo anche coperture di bilancio per le spese di strumentazione e di assicurazione dei percettori. Se gli attuali percettori del RdC lavorassero otto ore a settimana come previsto, il terzo settore beneficerebbe di circa 350 mila addetti full time, già retribuiti. Un aumento di circa il 38% degli addetti attualmente impiegati nel terzo settore”.